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Il lungo addio iniziato con la fuga di Mou nella notte più bella

Una storia fatta di allenatori cacciati E alla fine si è «esonerato» anche lui cercando Thohir per sognare ancora

Perché stupirsi, non era nella logica delle cose dalla notte di Madrid fino a ieri mattina?

Appena usciti dal Bernabeu dopo il 2-0 al Bayern, le strade erano tutte una bandiera nerazzurra, grida, felicità, vittoria, ma se avvicinavi un tifoso e gli chiedevi cosa provava, lui ti rispondeva: sì, ma l'anno prossimo...

Era nella testa di tutti cosa stava accadendo, e ancora non si era sparsa la notizia della fuga di Josè Mourinho atteso dall'auto presidenziale di Florentino Perez parcheggiata sotto le mura del Bernabeu. Quella squadra era arrivata a fine corsa, un meraviglioso concentrato di trentenni spremuti all'osso con un futuro già in stato avanzato. Un collega spagnolo fa: ma allora è proprio vero che gli interisti non se la godono mai!

Errore, sanno cosa li attende, una notte è una notte, Milito va da Moratti e gli dice che c'è gente che lo cerca. Vai Principe, vai, immenso, ma poi solo uno di passaggio, come Maicon, Julio Cesar, Thiago Motta, Snejder, Eto'o, Lucio. Massimo Moratti ha agito da tifoso, coerente per 18 anni, alla maggior parte ha ritoccato l'ingaggio, una sorta di riconoscenza per aver raggiunto un traguardo immenso che il padre aveva già conosciuto cinquant'anni prima. Qualcuno è stato ceduto, ma a poco, il presidente avvertiva fastidio nella trattativa, Balotelli lo ha scaricato lo spogliatoio, il resto sono spariti per cedimento strutturale, a costo zero, qualcuno in scadenza, li avrebbe adottati, quella gente lo commuoveva, lo avevano portato in cima. Fine dei malumori, di Calciopoli, del presidente scemo che spende e non vince, fine del tutti contro uno, fine del mondo. Moratti si sentiva in pace, stava facendo quello che gli dettava il cuore. Magari aveva capito anche lui, stava andando trionfalmente verso la sua fine. Via Josè è rientrato lentamente nel gregge, Benitez, Leonardo, Gasperini, Ranieri. Lo spagnolo rispose a chi gli chiedeva come mai l'Inter non sapeva più vincere: «C'è qualche trentenne di troppo...». Esonerato, li voleva cambiare, girava la voce che gli allenamenti fossero tarati su di loro, ormai fragili e pieni di medaglie. Avanti un altro, con Leonardo ci aveva creduto, il brasiliano un po' meno, un'altra delusione, dopo una settimana che aveva messo sotto contratto Gasperini se ne era già pentito, Ranieri una soluzione tampone, sempre alla ricerca della fontana della gioventù, sempre alla ricerca di un altro Mourinho che non c'era.

Nel frattempo i libri societari piangevano, rosso ovunque, campagna acquisti sottotono, l'Inter non ha più acquistato nessuno con il talento di chi lo aveva preceduto, neppure la Saras, azienda di famiglia, se la stava passando benissimo, recessione sì, ma adesso erano gli altri a vincere. La scelta di Stramaccioni è stata un colpo anche per chi lo frequentava ma era il segnale di un club che si stava impoverendo, mai il presidente sarebbe andato su un allenatore della Primavera a 100mila euro a stagione. Quasi se ne vergognava, un giorno disse a Strama: lei guadagna troppo poco, qui minimo 1mln a stagione. Stra-amato, decine di giornalisti sotto la sede ogni mattina ad attenderlo, e poi ancora prima che rientrasse a casa per pranzare. Volevi vedere il preside? Ore 11,30 del mattino, più o meno, sotto la Saras, poi alle 13,30, poi il ritorno verso le 16, alla sera mai prima delle 19. Moratti passava con una sensibile eleganza, colpi bassi anche dal destino con la scomparsa di Giacinto Facchetti, l'Inter in Europa league, poi fuori anche da quella, aveva in mente qualcosa ma ormai c'era poco tempo e pochi soldi. Non stupisce il suo commento su Mazzarri, aveva esonerato Gigi Simoni il giorno in cui il tecnico prese la Panchina d'oro e dopo aver battuto in Champions 3-1 il Madrid. Aveva esonerato Mancini dopo uno scudetto. Si era esonerato quando scelse un altro Moratti per continuare a sognare. Ma la storia dell'amministrazione scellerata no, così, davanti a tutti, unica colpevole.

Gli è sempre piaciuto stupirsi anche quando conosceva la verità, verso la una di notte del 22 maggio si guardava in giro e chiedeva: ma Josè dov'è?

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