Russia 2018

"Mai con loro". È questo l'unico slogan

Dalle tovaglie croate e i francesi indigesti ai danesi che non cambiano sesso...

"Mai con loro". È questo l'unico slogan

I mondiali senza l'Italia sono l'ignoto, mettono paura. O racconti che l'11 luglio 1982 eri a Pyongyang. Oppure cerchi per chi tifare. Vediamo chi potrebbe essere.

Arabia Saudita. Va bene che un mondiale senza Italia è una traversata del deserto, ma se vai a fare il pieno ti passa quel po' di voglia.

Argentina. Di Maria, Lo Celso, Armani, Tagliafico, Lanzini. Sembra il Catanzaro 1978. Ma gli albiceleste sono da sempre arroganti e infidi. Difficile voler loro bene.

Australia. Tifare per i canguri in un torneo di calcio è come a Wimbledon tenere alle fragole con la panna. Carino ma inutile.

Belgio. Europei e multietnici. Avrebbero tutto per piacerci. Salvo che sono europei e multietnici.

Brasile. Prima scelta naturale, ma ci ha un po' rotto la retorica del futbol bailado, dei piedi scalzi, della poliomielite da bimbi. L'unico che è nato per farci sognare, Neymar, è un viziato insopportabile.

Colombia. Un tempo erano una simpatica congrega di pazzi, drogati, capelloni e avanzi di balera. Oggi il massimo della trasgressione è l'esultanza da salsero di Cuadrado.

Corea del Sud. Byron Moreno e una truffa per mandarli avanti nel mondiale di casa. Sedici anni sono pochi per dimenticare. Ne riparliamo a Uzbekistan 2054.

Costa Rica. Uno dice: ci sono perfino loro e noi no. Bannati

Croazia. Folli e creativi, insomma slavi. Ma come emozionarsi per una squadra che indossa una tovaglia da trattoria?

Danimarca. Fosse la nazionale donne, avremmo già scelto.

Egitto. Salah per la prossima volta.

Francia. Regola uno: mai con i cugini. Specie se stronzi.

Germania. Parafrasando Lineker, il calcio è quella cosa che si gioca undici contro undici e tifi sempre contro i crucchi.

Giappone. Siamo mica su Holly e Benji. O erano Mila e Shiro?

Inghilterra. Alle prime edizioni nemmeno partecipavano, si ritenevano troppo superiori. Poi, quando si degnarono, vinsero solo in casa e con un gol farlocco.

Iran. Sono sunniti o sciiti? Accidenti, ce lo dimentichiamo sempre. Googliamo e poi decidiamo

Islanda. Un grande giornale sportivo li ha adottati e a forza di menarcela con la geyser dance abbiamo iniziato a fare il tifo per i geyser.

Marocco. Nemmeno un motivo per non tifarli. Nemmeno uno per tifarli. Amici come prima?

Messico. Sono un grande popolo latino, ma il più grande contributo che hanno dato alla cultura calcistica è stata la ola. Per dire.

Nigeria. L'Africa vincerà i Mondiali. Tra vent'anni. Da trent'anni.

Panama. Se dobbiamo tifare per un cappello, meglio borsalino.

Perù. La capitale? Bogotà? Caracas? Ah, Lima. Passiamo oltre.

Polonia. In epoca di 730 impossibile tifare per dei codici fiscali.

Portogallo. Hanno vinto Euro 2016 con tre tiri in tutto. A botte di culo diremmo che hanno già avuto.

Russia. Regola due: mai con i padroni di casa.

Senegal. Regola tre: mai per un Paese che non sapresti indicare su una mappa del mondo.

Serbia. Abbiamo un desiderio in serbo, ma come si pronuncia?

Spagna. Erano i parenti poveri, ci ammiravano. Oggi ci guardano con spocchia e ci stanno cordialmente sui cojones.

Svezia. A novembre ci siamo suicidati grazie a uno che doveva essere in panchina sì, ma quella dei giardinetti. Ma alla fine sono loro ad averci buttati fuori. E poi senza l'unico svedese divertente, Ibra

Svizzera. Uno poi si affeziona al luoghi comuni. Pensa a cioccolatai e allevatori con il campanaccio e trova quasi solo africani e kosovari. Noi che stiamo ancora lì a dibattere su Balotelli siamo a casa; loro, la Babele del pallone, in Russia.

Tunisia. Per esser qui hanno eliminato Mauritania e Guinea. Ecco.

Uruguay. Sono l'ultima chance alfabetica. Ma Suarez quattro anni fa addentò Chiellini come fosse un tramezzino. Sbianchettati.

Alla fine andiamo anche stavolta a Pyongyang.

Come nel 1982.

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