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Marchisio e i suoi fratelli, in Russia con amore ma non tutte le storie sono state a lieto fine

Da Spalletti a Carrera, da Criscito e Capello: il "principino" è l'ultimo degli emigrati

Marchisio e i suoi fratelli, in Russia con amore ma non tutte le storie sono state a lieto fine

C'è una campagna di Russia che non evoca spargimenti di sangue. È quella intrapresa da Claudio Marchisio, che dopo aver rescisso il contratto con la Juve ha accettato l'offerta dello Zenit di San Pietroburgo. Oggi sarà ufficialmente presentato a San Pietroburgo. L'allenatore Semak gli ha affidato le chiavi del gioco di una squadra che al momento guida la classifica con due punti di vantaggio sullo Spartak Mosca di un altro italiano, Massimo Carrera. La Russia è diventata terra di conquista per il pallone Made in Italy. Tutto cominciò quindici anni fa, in maniera sperimentale e improvvisata. L'allora tecnico dell'Uralan di Elista, Igor Shalimov, vecchia conoscenza del nostro campionato, chiamò sulle rive del Mar Caspio Dario Passoni e Alessandro Dal Canto, non certo due fenomeni, ma onesti gregari con un buon curriculum tra i professionisti. La loro esperienza durò soltanto una stagione: la squadra retrocesse e Shalimov venne esonerato. Oggi Dal Canto allena l'Arezzo, mentre Passoni è uscito dal giro del pallone, ma entrambi sono consapevoli di aver aperto una strada.

Qualche anno dopo (siamo nel 2005) la percorsero Francesco Ruopolo e l'ex portiere della Roma Ivan Pelizzoli, ma il loro soggiorno alla Lokomotiv fu anonimo, come quello dell'ex juventino Cristian Pasquato al Krylja Sovetov. Qualcosa in più ottenne Alessandro Rosina, ingaggiato nel 2009 dallo Zenit. L'ex del Torino regalò numeri d'alta classe diventando una sorta di clone in salsa russa di Gianfranco Zola. Per Rosina i riflettori si spensero l'anno successivo con l'arrivo di Luciano Spalletti. Il tecnico non apprezzava gli individualismi del fantasista calabrese e lo relegò in panchina. Le scelte gli diedero ragione, perché collezionò in cinque stagioni due scudetti e altrettante coppe nazionali. Allo Zenit Marchisio ha dato il cambio a Domenico Criscito, che a San Pietroburgo è rimasto sette anni, portando a casa cinque titoli. Nessun acuto di rilievo per l'attuale ct azzurro Roberto Mancini, che a San Pietroburgo la scorsa stagione si è fermato al quinto posto. Trionfale la parabola di Massimo Carrera allo Spartak: nell'estate del 2016 prese il posto dell'esonerato Alenicev, e forte anche delle esperienze maturate alla Juve come sostituto pro-tempore dello squalificato Conte riuscì a vincere in un sol colpo campionato e supercoppa, avvalendosi della collaborazione in campo del difensore Salvatore Bocchetti, che in Russia era arrivato tempo prima nel Rubin Kazan, e in allenamento dei preparatori atletici Gianluca Riommi e Diego Mantovani, ancora oggi nel suo staff. Un po' come Ivan Carminati e Andrea Scanavino, rimasti allo Zenit anche dopo la partenza di Mancini.

Agrodolci le vicissitudini di Fabio Capello sulla panchina della nazionale russa. Nel luglio del 2012 firmò un contratto da 7 milioni di euro l'anno, diventando il terzo allenatore più pagato al mondo dopo Mourinho e Ancelotti. Qualificò la Russia ai mondiali brasiliani, ma uscì dalla rassegna iridata dopo due pareggi (Corea del Sud e Algeria) e una sconfitta (Belgio). Nell'estate del 2015 don Fabio decise di lasciare Mosca, tornando a casa assieme all'italianissimo staff (Panucci, Tancredi, Neri, Galbiati e Cinquini).

Ci sono poi gli italiani ai confini dell'impero, come i quattro moschettieri Domenico Doardo, Ivano Della Morte, Fabrizio Cammarata e Alessandro Di Bartolo che nel 2017 lavorarono nel settore giovanile del Terek Grozny, squadra di proprietà di Ramzan Kadyrov, leader paramilitare della Cecenia.

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