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Mazzinghi, eterno guerriero 80 anni di rischi e emozioni

"Ho riempito San Siro ma ci ho lasciato la carriera. Con Benvenuti una sfida lunga mezzo secolo..."

Mazzinghi, eterno guerriero 80 anni di rischi e emozioni

Gli occhi chiari di Sandro Mazzinghi non si sono perduti nell'età. La faccia, il naso, la fronte sono segnati come la pelle di un guantone mai smesso. E che non si lascia nel cassetto. Ottanta anni il 3 ottobre, 80 anni come Benvenuti: la sfida continua. E forse mai è apparsa tanto intrisa di umano orgoglio. «Con quello che ho passato sul ring, pazienza se dimentico qualche nome?». Così risponde Sandro al figlio David, quando la memoria si annebbia. Il tempo cancella qualche ricordo, ma Sandro Mazzinghi da Pontedera può superarlo con una alzata di spalle ed una battuta. L'ultimo libro che lo incornicia lo definisce Un eroe del 900. Uno di quei personaggi che ti lasciano qualcosa dentro, non solo il brivido di una emozione. Mazzinghi è stato un guerriero: schietto, permaloso, furioso, generoso, scatenato e intrepido a costo di mangiare «parecchio mallegato» che si traduce sanguinaccio. Ne fece indigestione davanti allo svedese Bo Hogberg, a Stoccolma. Racconta: «Fu una notte da matti. Da allora, in Svezia, abolirono la boxe professionistica».

Ottanta anni sono lunghi. «Ma non sono mai pesati e sono volati. La vita è un piacere e va vissuta piena come l'ho vissuta io». Casa Mazzinghi oggi riassume una tribù tra figli, David e Simone, e «una moglie stupenda», vive a Cascine di Buti. «Mi dedico alla campagna ed è bellissimo. Mi basta poco per essere felice». Festeggerà con pochi intimi e molti ricordi. A Milano, il 19 novembre, riceverà il premio della Guirlande d'Honneur 2018, dedicato ai campioni. Sul ring il conto è imponente: 442 riprese, 1326 minuti, 69 match, 64 vinti (61% per ko), 3 persi (due con Benvenuti) e 2 no contest. Il suo motto diceva: «Le ho prese per darle». Il conto finale? «Ho fatto bene a darle sempre. La vita è come un ring: si prendono e si danno». Poi ci sono momenti e momenti. Sandro ne fissa tre per una storia: «L'infanzia molto povera, da non aver nemmeno un pezzo di pane. La vita che, ad un certo momento, ha cominciato a sorridermi. L'essere appagato da quanto ho fatto senza nemmeno cambiare una virgola». E' stato uomo di drammi ed esaltazioni. Nella galleria dei ricordi sfilano: «Mio fratello Guido e il manager Adriano Sconcerti con i quali abbiamo scalato montagne. Giovanni Borghi, patron della Ignis: come un padre. A 25 anni, e campione del mondo, persi la prima moglie: ho superato la tragedia solo con fede e forza di volontà».

Il ring è stato il suo podio e la gabbia delle amarezze. Gli ha pesato l'indifferenza dalle istituzioni. «Non ero solo una macchina da soldi quando faceva comodo. Ho fatto match da brividi, non so nemmeno come ne sono uscito vivo». Ne fu esemplificazione la riconquista del mondiale medi junior a San Siro, nel tramonto di una domenica (26 maggio 1968). Un popolo ad esaltarlo, Benvenuti e Loi che litigavano a bordo ring. Una battaglia definitiva. «Quello con Ki Soo Kim è stato un match fantastico e crudele. La mia rinascita e un canto del cigno: 15 riprese di pura follia. Su quel quadrato abbiamo lasciato le nostre carriere». Quelle con Benvenuti sfide infinite. Oggi tutto si è placato. Sandro disegnava Nino, che chiama Giovanni, come un damerino, vanitoso, irridente, coccolato. Ora inzuppa il ricordo nell'agro-dolce: «Per quei due match ho avuto tanta rabbia e rimango della mia idea sulle sconfitte a cui non credo. Il nostro è stato dualismo puro. Ci siamo scontrati per una vita intera. Vi rendete conto? 50 anni! Abbiamo diviso l'Italia come solo i grandi sportivi riescono. E siamo arrivati alla bella età di 80 anni. Dobbiamo essere contenti e felici per quanto realizzato. Tutto il resto, come diceva il mio amico Franco Califano, è noia». Sul ring Sandro era un esaltante demolitore. Gli americani lo scoprirono e gli proposero un match perdi-vinci-perdi con Emile Griffith. Non accettò. «E non mi sono mai pentito. Mi offrirono 100mila dollari. Non mi piacevano le clausole. Peccato, sarebbe stata sfida per cuori forti».

Poi c'è stato il Mazzinghi uno e trino per ciclismo, boxe e canto. «Amavo il ciclismo, ma da bambino non avevo i soldi per una bicicletta e scelsi la boxe. Tifavo Coppi e divenni amico di Bartali. Da Ray Sugar Robinson, il mio campione, ricevetti il più bel complimento: negli Usa saresti l'idolo delle folle, la tua boxe è spettacolo. Avevo appena messo ko a Roma il francese Gonzales per l'europeo medi jr. Il canto un'altra passione: con Adamo feci una tournèe nei palazzi dello sport». Diceva Sandro: «Noi Mazzinghi, il pane si inzuppa nel rischio».

Chissà, è stato bello rischiare? La risposta è un guizzo di giovinezza: «Era come fumarsi una sigaretta dopo il caffè».

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