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Morte di un uomo che aveva osato troppo

Meglio morire come Sonny Liston, il terribile orso che faceva paura perfino a Cassius Clay, steso tra i misteri nella sua villa di Las Vegas? O chiudere come Hector, detto il Macho, Camacho, folle mattacchione del ring, coraggioso e sfottente guerriero, seccato all'alba del giorno peggiore della sua vita, mentre stava in auto con un amico? Liston misterioso anche nella morte. Camacho si è goduto la vita fin alla soglia, rovinato da Ecstasy ed eccessi. Direte: il solito copione di pugili smarriti e di fortune dissipate, quanti Rocky e quanti uomini salvati dal ghetto e ricondotti nelle topaie. Non è boxe se non è tragedia. E Hector, portoricano campione del mondo di tre categorie, uno che negli anni novanta si è battuto con i migliori campioni e i pugni peggiori del ring, ha voluto rispettare questa legge non scritta. Finito a 50 anni, dopo aver cercato di nuovo il ring a 46 anni. Dicono che il quadrato resti sempre la casa più sicura per ogni pugile. Ma poi c'è la volta che scendi in strada. E muori.
Camacho era stato ricoverato martedì all'ospedale di San Juan di Portorico, condizioni gravissime per un colpo d'arma al viso. Giovedì era cerebralmente morto. Sull'auto c'erano sacchetti di cocaina. Ieri mattina un arresto cardiaco e i medici hanno staccato la spina. Morte da “macho”? No, morte da uomo che aveva osato troppo nella vita. Camacho era mancino, portoricano cresciuto ad Harlem, tre decenni di carriera, record con neppure un ko al passivo. Ma i pugni non sono colpi di pistola.

Sapeva darli, ma anche prenderli.

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