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Murray non ce la fa più: "Troppo dolore, mi ritiro"

«In Australia l'ultimo torneo, ma sogno di finire a Wimbledon» La dura storia di uno sport che sta consumando i suoi campioni

Murray non ce la fa più: "Troppo dolore, mi ritiro"

Davanti a un uomo che piange c'è da portare rispetto, soprattutto se quell'uomo è Andy Murray. «Non sto granché bene», e basta la prima domanda in una conferenza stampa improvvisa per far partire le lacrime e la sospensione per qualche minuto. Nonché la commozione generale. Quello che è successo dopo va a rullo nei siti e nelle tv di tutto il mondo da ieri mattina, la sera di Melbourne in cui è arrivata la notizia: lo scozzese ha annunciato che gli Australian Open potrebbero essere il suo ultimo torneo. E di più: «Vorrei arrivare a Wimbledon, smettere lì sarebbe un sogno. Ma purtroppo credo sia troppo in là». Dolore, rabbia: la fatica a parlare di Andy nascondeva la resa di un uomo orgoglioso, ma pure la verità su un futuro troppo incerto: «L'anca destra non recupera, sto pensando di sottopormi a un'operazione più pesante di quella che ho già fatto. Ma qui non è in ballo il fatto di continuare a fare lo sportivo professionista: ci sto pensando per riuscire a vivere senza dolore. Per riuscire a mettere i calzini, allacciarmi le scarpe, cose così...». Terribile.

Andy Murray piange e mette a nudo la follia del tennis di voler andare al di là dell'umano aumentando tornei, velocità, materiali da superman, spettacolo ad ogni costo nel nome del business. Non ce la fa più - dopo 20 mesi ad inseguire il sogno di un ritorno ad alti livelli tra operazioni, ricadute e rieducazioni -, eppure ama ancora il suo mestiere: «Ci sono cose che non sono più in grado di fare sul campo. Potrei anche giocare con questi limiti, ma con questo dolore no. La competizione, l'allenamento, tutte quelle cose che amo del tennis... con questo dolore non riesco proprio più a godermele». Attenzione: ha solo 32 anni, in uno sport che ha sì allungato l'età dei suoi eroi, ma che li ha anche resi un campionario di acciacchi ripetuti. Vedere lui oggi è ripetutamente vedere Nadal alle prese con le sue ginocchia, Federer con la schiena e perfino RoboNole Djokovic con quel gomito che lo ha stoppato per quasi un anno. Si gioca, a lungo, sopravvivendo al dolore. Per non parlare di tutti quelli che ci hanno rimesso un pezzo di salute e sono ancor più giovani. Andy Murray ora si porterà dietro un piccolo calvario quotidiano, così come l'immortalità di essere stato il primo britannico a vincere Wimbledon 77 anni dopo Fred Perry (1936-2013), per poi rivincerlo nel 2016 avendo già uno Slam di New York (2012). A questo si aggiungono 45 titoli totali, due ori olimpici e 41 settimane da numero uno del mondo, ma soprattutto l'ammirazione per un ragazzo semplice di Dunblane, che da piccolo scampò alla famosa carneficina nella sua scuola, che ha girato il mondo con mamma Judy, che ha sposato la sua ragazza di sempre Kim. Con cui ha avuto due figlie e dimostrato che non è necessario vivere di eccessi per essere un campione. Per questo oggi, davanti a un Andy Murray che piange, c'è solo da condividere il suo dolore.

Sperando che il tennis moderno, un giorno, capisca.

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