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Il naufragio di Guardiola sull'Isola degli ex famosi

Dopo l'uscita choc del City, solo il Leicester può salvare gli inglesi in crisi in Champions league

di Tony Damascelli

Ore difficili a Manchester. In tre giorni saltano lo United di Mourinho, fuori dalla Football Association Cup (per gli inglesi è il torneo più vero) per merito del Chelsea Antonio Conte e, mercoledì sera, il City di Guardiola, grazie alla superprestazione dei principini di Montecarlo. Ore difficili per lo Special One, autoproclamatosi Judas One e per Pep tiki taka, denudato da un avversario fresco, veloce, tenace.

Non contano i fatturati, i soldi di Al Moubarak non bastano come non sono stati sufficienti quelli di Al Khelaifi per salvare il Paris Saint Germain dalla rimonta del Barcellona; Abu Dhabi e Doha sono lontani dall'Europa e fuori dalla Champions. Guardiola non ha perso soltanto una partita. Anche con il Bayern di Monaco la sua filosofia non era gradita a chi, Rummenigge e Beckenbauer, del football, hanno idee pragmatiche, tradizionaliste ma efficaci.

Fine del possesso palla, storiella inventata dai docenti di statistica che nulla sanno di football. Perché nulla significa tenere il pallone per ottantanove minuti se all'avversario ne basta uno per vincere. Chi ha inventato questo magnifico gioco non ha mai pensato e nemmeno scritto sulle carte che il possesso palla potesse essere la chiave per vincere le partite. Non è finito di certo Guardiola anche se i social si stanno divertendo (la battuta migliore vede una coppia di anziani che si tengono per mano e, romanticamente, sussurrano «ci ameremo fino al giorno in cui Pep vincerà la Champions ma non alla guida del Barcellona!», la didascalia sentenzia: «E vissero felici per tutta la vita». I cortigiani di Guardiola devono rialzarsi dalla postura di preghiera verso il profeta catalano. Il calcio è bello perché è vario e, spesso, imprevedibile e incomprensibile. La Champions league, ad esempio, mette la firma sulla Brexit: tutti fuori i club inglesi, fatta accezione, pensate un po', per il Leicester che in Europa si ritrova per grazia ricevuta da un italiano, prima amato e celebrato e poi tradito e licenziato. Il nuovo allenatore, Shakespeare, per nulla amletico ma con una faccia da pub, potrebbe centrare il colpo del secolo. Qualcosa del genere è già accaduto, cinque anni fa: il Chelsea licenziò il pluriraccomandato portoghese Vilas Boas e consegnò la panchina all'assistente, Roberto Di Matteo, il quale, da marzo in poi, compì il miracolo portando la squadra a conquistare la coppa d'Inghilterra contro il Liverpool e la Champions contro il Bayern di Monaco.

Gli inglesi non accettano la vergogna di essere fuori dalla competizione più importante, gli opinionisti dei più grandi fogli britannici chiedono la svolta: pausa invernale, migliore attenzione alla fase difensiva, stop a salari eccessivi. Si ricomincia da zero, cosa che per gli inglesi sta accadendo da tempo, la belle époque dei favolosi anni Ottanta è memoria antichissima, così come i cognomi illustri di Rio Ferdinand, Scholes, Dalglish, Lampard, Gerrard, Rooney, Terry, Shearer.

L'isola degli ex famosi.

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