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Nba: da stanotte scattano le Finali Warriors-Cavs non è solo Curry-LeBron

La miglior squadra dell'Ovest con l'Mvp della stagione e il suo collettivo fenomenale sfida la super potenza dell'Est che, nonostante gli infortuni, ha scalato tutta la gerarchia sulle spalle del Prescelto. Ci sarà da divertirsi

Nba: da stanotte scattano le Finali  Warriors-Cavs non è solo Curry-LeBron

I giorni più caldi. Quando il pallone pesa di più. Le partite che decidono una stagione. E, per qualcuno, una vita. La Nba celebra da stanotte (alle 3, diretta Sky Sport2) le sue finali. Golden State Warriors da una parte, Cleveland Cavaliers dall'altra. Entrambe con una settimana di riposo alle spalle, evento rarissimo nella stagione e ancor di più durante i play off. Il livello della competizione si alza ai massimi livelli e lo spettacolo, a quelle latitudini, è assicurato. La serie è apertissima, ma tutti gli esperti, non di parte, vedono leggermente favoriti i Warriors, campioni della fenomenale Western Conference, guidati dal miglior giocatore della stagione, l'Mvp Stephen Curry. Dall'altra parte i Cavaliers, che hanno dominato la più abbordabile Eastern Conference, poggiano sulle spalle, larghissime di LeBron James. Ecco un'analisi della serie.

Le stelle Curry contro LeBron

Non si marcano, i due, ma in modo diverso entrambi sono fondamentali per la loro squadra. Curry è la mente, l'uomo con la palla in mano. E la bocca da fuoco principale di un attacco predicato sulla circolazione frenetica alla ricerca dell'uomo più libero. «Good to great», rinunciare a un buon tiro per uno grande, è la filosofia copiata dai campioni 2014 dei San Antonio Spurs. E Curry, giocatore dal fisico normale (non arriva a un metro e 85), è la scintilla geniale di questo attacco. Tiratore mortifero da tre punti che, quando entra in striscia, la Curry zone come la chiamano a Oakland, diventa infallibile. James, alla quinta finale consecutiva della sua carriera, è tornato a Cleveland per far vincere la squadra dell'Ohio, dov'è nato (anche Curry, se è per questo, nello stesso ospedale di Akron, ma solo perché il padre in quel periodo giocava lì). Si è caricato i Cavs sulle spalle in più di un'occasione, terminale perfetto di una squadra che prevede un gioco fatto di isolamenti e situazioni con il 23 protagonista a creare per i compagni.

Il cast di supporto

I Warriors sono più squadra. A partire da Klay Thompson, lo Splash brother di Curry. Tiratore di una pulizia e di una precisione straordinarie è anche un ottimo difensore. Ma la vera svolta di Golden State è avere dato fiducia a Draymond Green. In doppia doppia di media per punti e rimbalzi. Straordinario stopper difensivo (sarà lui a mordere LeBron), tempista sotto le plance e solido nel tiro dalla distanza. Può essere l'Mvp delle Finali. L'altro tuttofare è Harrison Barnes, sotto i tabelloni proteggono l'area Andrew Bogut e Fastus Ezeli. E dalla panchina si alzano anche Andrè Iguodala, difensore e contropiedista che giocherebbe titolare ovunque, Shawn Livingston, regista sublime, Leandro Barbosa, Marreese Speights e David Lee. Punti e sostanza, la rotazione è veramente impressionante. Cleveland è più corta. Ha perso Kevin Love per infortunio e l'altra stella, Kyrie Irving, gioca al 50% per un'infiammazione al ginocchio. Ma i Cavs hanno trovato risorse insperate dal fondo della panchina, uno dei classici della storia di coach David Blatt. Tristan Thompson è diventato il numero 4 titolare: il canadese non è un primo violino in attacco ma è un lottatore micidiale e uno dei migliori rimbalzisti, anche offensivi, della lega. Matthew Dellavedova, australiano bianco normodotato, un cagnaccio in difesa e micidiale dalla lunga distanza. Il talento lo mettono i due profughi di New York, cacciati a gennaio con ignominia dalla Grande Mela. Iman Shumpert, guardia atletica e dal grande tiro, e Jr Smith. Fenomeno ondivago, se ce n'è uno, capace di alternare partite da 30 punti a serate di abulia totale. Ma se si accende è immarcabile. Sotto le plance il centro è il russo Timofey Mozgov, già con Blatt in nazionale, non un fuoriclasse ma quadrato sui due lati del parquet.

Gli allenatori

Entrambi esordienti su panchine Nba. Steve Kerr è un grandissimo ex giocatore, a titolo con i Chicago Bulls di Michael Jordan. Furbo e poliedrico ha strappato qualche pagine dal libro dei giochi di ognuno dei coach che ha frequentato. Dal maestro Phil Jackson il suo triangolo offensivo, da Mike D'Antoni (era il suo gm ai Suns) l'attacco di flusso e la transizione micidiale, da Gregg Popovich e i suoi Spurs l'accento sul collettivo e il cinismo in ogni scelta. Sembra predestinato, ha mostrato il miglior basket della lega e non si vede perché debba sfuggirgli il titolo. Dall'altra parte c'è David Blatt. Un bostoniano appena sbarcato nell'Nba dopo aver vinto tutto in Europa (oro europeo e bronzo olimpico con la Russia, scudetti con Treviso e Maccabi, Eurolega con il Maccabi). Era stato scelto per rilanciare con il suo gioco fatto di difesa e attacco corale una franchigia giovane si è trovato in casa a sorpresa il numero uno degli ultimi anni e, Michael Jordan permettendo, forse di tutti i tempi. Ha saputo adattarsi alle situazioni e affidarsi al suo fenomeno quand'era il caso. Nonostante gli infortuni a raffica è arrivato alle Finali. Non è tipo da mollare il colpo troppo facilmente. E lottare, sa lottare.

Ci sarà da divertirsi.

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