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Non c'è da stare Allegri: Max cambia la Juve ma appena non vince piovono le critiche

Mentre il tecnico prova nuovi moduli i tifosi discutono l'uso di Dybala e Higuain

Non c'è da stare Allegri: Max cambia la Juve ma appena non vince piovono le critiche

Ha vinto la serie C1 con il Sassuolo, per cominciare. Poi ha fatto bene a Cagliari e spiccato il volo: uno scudetto e una Supercoppa con il Milan, due tricolori, due coppe Italia e un'altra Supercoppa con la Juventus. Per un paio di volte si è anche aggiudicato la Panchina d'Oro e nel 2015 gli è stato assegnato il Premio Nazionale Enzo Bearzot. Però, siccome nel calcio (solo nel calcio?) non esiste riconoscenza né memoria, Massimiliano Allegri (una finale di Champions all'attivo, anche) finisce sovente nel tritacarne della critica. Lui spesso sorride e fa spallucce, altre volte indossa la maschera di chi è un po' scocciato, magari alza (leggermente) la voce ma poi tira dritto per la sua strada: lo ha fatto ovunque e Torino non fa eccezione. Del resto da quando è alla Juve - ma pure al Milan, dove gli vendettero tutti i big senza che battesse quasi ciglio - il bilancio parla per lui e per la sua capacità di adattamento. Aziendalista se ce n'è uno, ecco: in linea con la società, nessuna frase a effetto tipo «non si può entrare in un ristorante da cento euro avendo in tasca una banconota da dieci». Piuttosto, la capacità di dosare le parole e di alternare con i giocatori bastone e carota. Così, dopo avere richiamato tutti a eliminare «superficialità e presunzione», non più tardi di tre giorni fa si era comunque detto convinto che «questa squadra vale le prime quattro d'Europa».

E però non basta mai. Per soddisfare i palati dell'esigente pubblico juventino che nel luglio 2014, a ritiro iniziato, lo accolse insultandolo quando venne scelto da Marotta e Agnelli per prendere il posto del dimissionario Conte. Così come non bastava per soddisfare appieno i desideri di Berlusconi, dal quale venne infatti cacciato. «Se vinciamo, non frega a nessuno che giochi o meno Higuain - altra frase buttata lì negli ultimi giorni -. Se invece perdiamo, tutti dicono la loro. Devo sperare si vinca sempre, così nessuno avrà da ridire». Bersaglio grosso centrato, in effetti. E senza scomporsi. Perché in Italia abbondano ct e allenatori: la ricetta è sempre «l'altra», la difesa a quattro se con quella a tre si è perso e viceversa. Oppure, se la squadra stenta (come un anno fa, all'inizio), Dybala in campo appena arrivato da Palermo: anche in quel caso Allegri si è preso le sue critiche, ha resistito, lavorato e infine avuto ragione.

Potrebbe succedere anche quest'anno, con la Juve che sta provando a cambiare pelle introducendo la difesa a quattro davanti alla quale piazzare due centrocampisti e poi solo piedi buoni tipo quelli di Cuadrado, Dybala e Pjaca dietro Higuain: ricetta buona - proposta due giorni fa, nel finale del match contro la Dinamo - per dare l'assalto alla Champions, dove strada facendo servirà tanta qualità oltre alla quantità. Difficilmente il nuovo modulo sarà proposto dal 1' domenica a Empoli (Pjanic recuperabile), ma la Juve si conferma in cammino: verso un nuovo vestito e nuove mete, guidata da un tecnico mai isterico e raramente nervoso.

Piacere a tutti è impossibile, del resto.

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