Sport

Il nostro basket? Un "marketing alla rovescia"

Grande spettacolo nei playoff ma in Italia resta sport di nicchia

Il nostro basket? Un "marketing alla rovescia"

I playoff più belli della storia del basket sono appena terminati, rimangono le certezze di un grande spettacolo ma anche qualche domanda. Ad esempio, perchè la pallacanestro italiana che è in grado di offrire uno spettacolo unico non riesce poi mai a fare il salto mediatico di qualità che si merita?

Il basket è, almeno in campo sportivo, il maggior esempio recente di «marketing alla rovescia». E se continuerà ad esserlo, anche dopo le serie di semifinale e finale di quest'anno, allora una soluzione non esiste. La Lega basket e il suo bravo presidente Fernando Marino (che ha però il limite di essere anche proprietario di un club affiliato alla Lega stessa) partono da una dote, come quella dei playoff appena terminati, che sarebbe un delitto non saper utilizzare. Mai come quest'anno, l'onda lunga di quello che è successo in partite come la settima tra Milano e Sassari o nella serie di finale tra Sassari e Reggio Emilia, potrà essere sfruttata al meglio per cercare, finalmente, di farsi capire da un mondo come quello del marketing e dei media, che considera la pallacanestro, ormai da troppo tempo, come un qualcosa di secondario e quasi mai necessario.

Le eccezioni nel tempo (purtroppo passato) ci sono state ma hanno sempre riguardato più i personaggi e le loro capacità di comunicazione - vedi Peterson o l'entrata in campo di Armani - che lo sport giocato sul campo. I dati degli ascolti sono cresciuti costantemente nei playoff, pur con l'assenza di Milano, ma se oggi chiedete in giro chi ha vinto lo scudetto nel basket, in pochi saprebbero rispondervi. Curioso no? Il nostro secondo sport di squadra non riesce ad uscire dal cosiddetto «anonimato popolare», una specie di nicchia, non necessariamente piccola, che però è quella che ti preclude il vero salto di qualità.

La pallacanestro in questi anni, invece di espandere i suoi orizzonti, ha sempre cercato di farsi male da sola, investendo poco su quello che potrebbe dare ancora maggior risalto allo spettacolo che è in grado di generare. Un esempio? Nella maggioranza dei palazzetti di serie A, le squadre non possono fare la presentazione dei loro giocatori "all'americana", ovvero spegnendo le luci in sala per illuminare solo i protagonisti chiamati in campo. Questo perchè esistono degli impianti di illuminazione talmente vecchi che una volta spenti, richiedono almeno venti minuti per potersi riattivare. Senza dimenticare lo scandalo del Palalido milanese o il fatto che nella finale 2015 una realtà come Reggio Emilia, sponsorizzata anche dalla Mapei del presidente di Confindustria Squinzi (che, per ironia, produce materiali per l'edilizia...), ha giocato in un palazzetto che cade a pezzi.

A questo punto, la pallacanestro deve cambiare marcia anche con i media e in fretta: da troppo tempo viene bistrattata in tv e dai quotidiani generalisti. Il fatto che l'emittente di Stato si sia accorta solo per gara 7 della finale che si poteva spostare le partite dal "ghetto" di Rai sport alla più seguita Rai3, dimostra ancora che il nostro basket deve aumentare il suo peso politico in certi ambienti (Coni compreso) dove ci sono dirigenti che, pur occupandosi di sport, faticano a dirti quali squadre sono andate in finale nell'ultimo torneo.

Ora c'è un biglietto da visita importante, bisogna che la Lega lo utilizzi nel migliore dei modi. Potendo, varrebbe la pena di riempire l'Italia di manifesti con le facce di Dyson Sanders, Cinciarini, Della Valle e Polonara, usandoli per ricordare le straordinarie emozioni che questo sport può offrire. Tra queste, l'incertezza del risultato, la miglior ricetta per portarti a casa appassionati curiosi e distratti.

Potrebbe già essere un eccellente punto di partenza come lo sono state Reggio Emilia e Sassari, che contro ogni logica di mercato hanno segnato il risveglio del nostro basket.

Commenti