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Il pallone intossicato dalla guerra tra bande di agenti

Comandano i procuratori: un'organizzazione tentacolare che dispone delle carriere dei giocatori

Il pallone intossicato dalla guerra tra bande di agenti

Inutile baciare la maglia. Inutile piangere lacrime o schiumare rabbia davanti ai tifosi. Prima o poi si strizzano i fazzoletti, si chiude la valigia e si parte. Fine del romanticume, fine dell'illusione. Il calcio delle bandiere è una favola alla quale non credono più nemmeno i bambini. Il lupo cattivo si mangia il cappuccetto rossonero, Gigio Donnarumma fa due conti, Mino Raiola li moltiplica per dieci, il totale porta al trasloco. Chi perde è il tifoso. Chi perde è il club che ha fatto crescere il ragazzo fenomeno per poi vederselo sottrarre dalle cosiddette, feroci, leggi di mercato. Un mercato reso tossico dalla guerra per bande degli agenti, detti procuratori, molti dei quali nemmeno con un titolo di studio degno del ruolo svolto. Comandano i procuratori, sono loro a disporre delle carriere e dei conti correnti dei loro assistiti. Non mi stupisco, è così da quando i presidenti hanno deciso di delegare ad altri le trattative, non tanto la definizione dei contratti ma addirittura il rapporto diretto con il massimo dirigente rivale. I procuratori hanno riempito il vuoto, hanno occupato il territorio che apparteneva ai direttori sportivi dei quali sono diventati complici, soci, colleghi, in alcuni casi sono loro stessi a dettare le strategie di mercato, a imporre gli acquisti e le cessioni. Donnarumma come Keita, vanno dove li porta il loro agente, non certo il cuore, Milan e Lazio devono osservare, passivamente, costrette a perdere un patrimonio enorme, sul quale la speculazione cresce di ora in ora.

La logica e la buona creanza suggerirebbero una telefonata di un presidente al collega della squadra concorrente nell'affare, per affrontare, risolvere, chiudere direttamente, la questione.

Ma è utopia, è un'abitudine ormai superata, evitata quasi, per non abbassarsi al livello dei mercanti.

E così Mino Raiola, come Jorge Mendes, come altri operatori di mercato, diventano i protagonisti, giocano con i soldi altrui per fare soldi propri. Vivono a percentuali ma fanno il totale. Non sono colpevoli, non commettono reati ma sono attori di una recita collettiva, con la partecipazione principale degli stessi calciatori pronti, come dicevo, a manifestazioni pietose, baciando la maglia come segno di fedeltà, per poi riporre l'indumento nel cassetto e vestirne un altro.

Il calcio non è la sola isola contaminata, il mondo dello spettacolo respira la stessa aria velenosa e avvelenata, gli agenti pensano, lavorano e si comportano da capi di un'organizzazione tentacolare, piazzando i propri assistiti dove l'offerta è migliore, prescindendo dal valore dell'emittente.

Gigio, lo scugnizzo di Castellamare di Stabia, esce sconfitto. Donnarumma, il portiere fenomeno, esce vincitore.

Il resto è la resa.

E la partita ricomincia.

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