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Il peso dell'acqua: quando la paura di fallire trasforma il talento in colpa

Una storia d'amore e di fatica che vale nello sport e soprattutto nella vita

Il peso dell'acqua: quando la paura di fallire trasforma il talento in colpa

Una bracciata dopo l'altra, con il cuore che batte il ritmo, destra, sinistra, pausa, trattieni e solo adesso respira. C'è questa musica che senti in testa e ci sono parole, come un monologo, che ti fanno compagnia. I mille e cinquecento metri stile libero sono un tempo sospeso, trenta vasche, quindici all'andata e quindici al ritorno, come una clessidra che volti e rivolti e ogni volta ci puoi raccontare un pezzo di vita. Non sei solo in acqua, ma ognuno pensa per sé. Ed è come perdersi inseguendo la propria corsia. È una maratona ad occhi chiusi, senza orizzonte. Il segreto è non avere paura, non degli altri, ma di te. Basta un sospiro di troppo per sentirsi perso come il più fragile degli umani. Greg ci ha pensato spesso in quelle notti di Rio, quando quella strana allegria cade senza un perché, all'improvviso, nella malinconia e ti viene l'angoscia di perdere tutto, come se fosse un peccato o una colpa da scontare il talento e la fortuna che ti hanno portato fin lì. Dillo, raccontalo, Greg e non importa se non c'è nessuno che ascolta. Certe cose magari un giorno finiranno in un libro, Il peso dell'acqua, con la tua firma lunga e per esteso, Gregorio Paltrinieri e il marchio della Mondadori. Sulla foto ci sei tu e la medaglia d'oro, quella che gli altri davano per certa, quasi scontata, perché Rio è la tua Olimpiade e non hai il diritto di sbagliare. Non c'è scelta, non ci sono alibi. Non vale il mal di pancia, la luna storta, la sfiga o il giorno della vita dell'avversario, non è mai stato così poco importante partecipare. Tu devi vincere e se non vinci non c'è risarcimento. Non c'è neppure la consolazione di chi fino a ieri ti ha invidiato: ecco, sarebbe questo il campione, quello con l'oro in tasca e invece è il solito bluff. Non sei più quello che cammina sull'acqua. Dopo è facile, dopo arrivano gli applausi e i sorrisi tirati, dopo l'oro luccica. È il prima che sconti da solo, chiedendoti attimo dopo attimo se davvero sei chi sei o chi ti credi di essere, con quella voce bastarda che ti chiama impostore.

È prima che la fatica ti scarnifica l'anima. «Ho gli incubi. Ce li ho da quando so di aver vinto tutto. Arrivano all'improvviso. Mi sveglio di soprassalto convinto di non aver ancora conquistato l'oro alle Olimpiadi di Rio. Peggio. Di non potercela fare e di deludere tutti coloro che per troppi mesi l'avevano dato per scontato. Mi succede perché vincere quella medaglia era diventata per gli altri una semplice formalità e per me una questione di vita o di morte. Era come se ne avessi bisogno non per stringere forte nelle mani il trofeo sognato da sempre, ma per non sentire un giorno gli altri dire: bravo coglione! Hai vinto tutto, tranne l'oro ai Giochi?».

Allora vai Greg e nuota e fuggi da tutto questo. Destra, sinistra, pausa, trattieni, sempre più a lungo e se proprio devi, respira. Ancora, ancora e ancora. Anche adesso che mancano poche vasche e sai che il talento non è solo nel gesto inatteso, nell'improvvisazione, ma nel dover tirare più a lungo, oltre quello che puoi, ogni volta.

Dillo, Greg e raccontalo. Ora che hai vinto e magari non te ne frega più niente. Raccontalo a quel giornalista che ti ha seguito come un'ombra nel caldo inverno di Rio. Si chiama Benny Casadei Lucchi e questo libro lo ha scritto con te. Tutti e due in fondo avete scoperto una cosa. La cosa più amara di ogni maratona, che un po' ricorda la vita, è che a un certo punto non nuoti più per quella maledetta medaglia d'oro. Nuoti per non avere il coraggio di non essere te stesso. Nuoti perché è l'unico modo per vedere cosa c'è dietro la porta, al di là della paura. «Sento solo una voce. Greg, hai avuto paura? Pa-u-ra. Per me non è una parola. È una password».

Nuoti per sopravvivere al peso dell'acqua.

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