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Psicosi Donnarumma: pagano i baby?

Per evitare altri casi, gli under 18 potrebbero avere meno spazio

Psicosi Donnarumma: pagano i baby?

Se ci sono rimasti male un po' tutti, non solo i tifosi del Milan, è perché un caso come quello di Donnarumma può capitare ovunque. E infatti ne sono già capitati: 14 anni fa fece scalpore il passaggio del sedicenne Fabregas dal Barcellona all'Arsenal, e pure in Italia abbiamo avuto diversi esempi di ragazzini che hanno girato le spalle al club che li aveva cresciuti per andare a guadagnare altrove i primi soldi importanti della loro carriera.

L'errore sta nello strabismo di un calcio che ha progressivamente abbassato l'età della professionalizzazione (quasi tutti i giovanissimi hanno già un procuratore, che all'inizio presta gratuitamente la propria opera sperando di essere ripagato in futuro) e i regolamenti che fissano a 16 anni il limite minimo per sottoscrivere un contratto professionistico e a 18 quello per legarsi a un club per più di tre stagioni.

Chi fa debuttare i minorenni, aumentandone a dismisura il valore di mercato, è quindi costretto a correre il rischio di vederseli portare via nel giro di poco tempo. È una situazione che fa a cazzotti coi buoni propositi (ma anche con l'esigenza strategica) di puntare sui giocatori fatti in casa: spesso ci si riempie la bocca con la retorica dei giovani e del futuro, ma poi non si forniscono alle società - specie a quelle meno ricche e quindi più esposte alla concorrenza delle «big» - gli strumenti per rendere economicamente vantaggioso un certo tipo di politica.

Sono passati appena venti giorni dall'addio strappalacrime di Francesco Totti, un altro evento che ha unito in maniera trasversale tutte le tifoserie italiane. Perché non si è pianto solo per il ritiro di un campione o per l'epilogo agonistico di una generazione, ma anche per la nostalgia di un calcio legato alle bandiere. E per Donnarumma in un certo senso è stato lo stesso: al di là dello sfottò, anche ai rivali dispiace perdere un potenziale riferimento, ma soprattutto gli dispiace pensare che legandosi affettivamente ai vari Pinamonti o Pellegri potrebbero andare incontro alla stessa delusione cocente.

In qualche modo ognuno ha il suo piccolo Donnarumma in casa: il comportamento di Keita con la Lazio, che lo accolse nel 2011 quando era un sedicenne appena cacciato dalle giovanili del Barcellona, o quello di Bernardeschi che dopo 14 anni di Fiorentina ha iniziato a puntare i piedi rifiutando il rinnovo, non sembrano troppo diversi. In queste ore vanno in (meritevole) controtendenza Kean e Plizzari che stanno negoziando il prolungamento con Juve e Milan: c'è bisogno di esempi come i loro per rincuorare le società e convincerle che vale sempre la pena investire sui settori giovanili; per impedire che il tradimento del diciottenne più famoso d'Italia si trasformi in psicosi.

Di sicuro quello che è successo al Milan servirà da lezione: c'è da scommettere che, nei limiti concessi dalle norme, d'ora in avanti nessuno concederà ai propri talenti in erba la vetrina della serie A senza prima avergli fatto firmare un contratto a prova di voltafaccia.

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