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Re di rughe, dolori e lacrime, la vittoria capolavoro di Roger

Più forte di età e infortuni: in Australia 18° slam dopo 5 anni. In mezzo il declino, lo stop e sempre lui: Nadal

Re di rughe, dolori e lacrime, la vittoria capolavoro di Roger

Diciotto. Da ieri è il numero dell'assoluto tennistico, il simbolo di chi non molla mai, la definizione di una rivalità che non avrà probabilmente più nessun paragone. Diciotto da ieri sono gli Slam di Roger Federer, cinque anni dopo il diciassettesimo, quando il mondo lo guardava in faccia e assicurava che non ce l'avrebbe mai più fatta a vincerne uno. Diciotto sono una «pietra miliare della mia carriera» ha detto il Re con gli occhi gonfi di emozione, perché arrivata nel giorno più bello e più duro, nel giorno in cui la rivalità imparagonabile con nessun altra - quella con Rafa Nadal - è stata la somma di una vita l'uno contro l'altro; una partita inevitabilmente finita al quinto set e che tutti e due hanno vinto, anche se uno solo ha trionfato. «Il tennis purtroppo non prevede il pareggio, ma oggi se me lo avessero proposto lo avrei accettato» ha sorriso il Più Grande. Perché ruga contro ruga, acciacco contro acciacco, perfezione contro perfezione, sarebbe dovuta finire così. Solo che il Dio del tennis ha deciso di regalare a tutti una favola, quella più definitiva, nel giorno in cui Federer all'improvviso si è sentito mai così felice e mai così vecchio.

«Spero di vedervi il prossimo anno, ma se così non sarà è stato bellissimo lo stesso»: le parole con la coppa in mano e il pensiero a famiglia e staff che lo hanno rimesso in piedi dopo sei mesi di duro lavoro, sono un allarme per i suoi fan sterminati e una presa di consapevolezza che i miracoli non sono infiniti. Ma sono le più giuste, il prologo ad un tramonto sportivo che non porterà comunque alla notte: «Mi faceva male tutto alla fine» ha detto lo svizzero raccontando il medical timeout chiesto alla fine del quarto set, contando che era la centesima volta esatta sui campi di Melbourne. E allora: finalmente arrivato al sogno di dimostrare che la classe non ha età Roger ha dunque cominciato a realizzare davvero che il tempo è un avversario sempre più difficile. Più difficile del rivale più duro di sempre che ieri ha sconfitto sul campo. Però qui sta la grandezza di un mito: superare l'inesorabile per correre dietro ai sogni. E dalla sua parte c'era praticamente tutto il mondo, perché non ci sarebbe stata epica se avesse vinto Nadal. Sarebbe stata la normalità.

Ieri era il tempo di Federer insomma, che si gode la sua opera d'arte più grande, il punto più alto di una carriera già troppo alta per tutti. Il match è stato un'altalena di fantasticherie e di paura, di ribaltamento dei ruoli e di stravolgimenti di situazioni. Quando Federer ha avuto il match in mano, Nadal è sempre ritornato; quando Nadal sembrava avesse vinto, invece ha perso. Si è deciso tutto quando sul 3-2 del quinto set, apnea e servizi in mano, con Rafa che si è preso un'infilata di dieci punti nell'esatto momento in cui dirà Roger «stavo pensando: se perdo così va bene lo stesso». E invece mente e braccio libero, i sogni son diventati desideri, fino all'ultimo fantastico colpo che ha scheggiato la riga laterale ma ha dovuto attendere la convalida tecnologica dell'Occhio di Falco: quasi un sacrilegio nel momento più epico di sempre del tennis. «Ho pregato che fosse dentro». Lo è stato. Doveva esserlo. Non c'era alternativa.

Roger ha poi raccontato che no, in realtà non è che sia proprio finita qui: «Sono 20 anni che mi diverto a Melbourne e voglio continuare a divertirmi. So anche però che il tempo non è dalla mia parte, che non mi resta molto. È che non si sa mai: non sono più tanto giovane». Federer giura che sognerà ancora e noi lo faremo con lui. Ma dopo ieri, dopo il suo quinto Australian Open, forse non c'è niente che possa stupire di più: «Mi rendo conto che è un momento enorme e contro Rafa le partite sono sempre epiche: lui mi ha reso un giocatore migliore. Ho sempre avuto fiducia, in questi mesi, in questa partita. Ho sempre pensato che vale la pena inseguire i sogni». E in fondo, allora, perché non farlo: come diceva Nelson Mandela, «a volte un vincitore è semplicemente un sognatore che non ha mai mollato». Mandela sognava.

E conosceva bene Roger Federer.

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