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Rivelino, 70 anni da artista bomber

Fantasista del grande Brasile col vizietto delle punizioni

Elia PagnoniPer tutti gli almanacchi del calcio ha una elle sola. Ma lui ci tiene a dire che all'anagrafe ne ha due, le due elle di un cognome italiano che ha fatto la storia del football brasileiro: Rivellino. Già, Roberto Rivellino, nato da una famiglia di emigranti italianissimi a San Paolo, suo padre era un ambulante di Macchiagodena, oggi provincia di Isernia, allora un centro di poche anime del povero Molise della prima metà del Novecento da cui salpò per il Sudamerica. Le origini italiane però non furono sufficienti per farsi apprezzare dal Palmeiras, la squadra paulista dei nostri emigranti, quella di Altafini quando veniva ancora soprannominato «Mazzola», e Rivellino (ancora con due elle) esplose così in un'altra grande squadra di San Paolo, il Corinthians. E qui, dal 1965 al '74, Roberto perderà una lelle ma troverà la gloria che lo porterà ad essere uno dei grandi del calcio brasiliano di tutti i tempi, prima di chiudere la carriera a Rio nel Fluminense che gli regalerà gli unici due campionati vinti in carriera.Ma l'astro di Rivelino risplenderà soprattutto con la Seleçao di cui sarà uno dei grandi protagonisti negli anni Settanta: tre mondiali giocati ('70, '74 e '78), uno vinto (quello contro l'Italia nell'indimenticabile galoppata dell'Azteca), 92 volte verdeoro (proprio come Pelè) con 26 gol segnati, molti dei quali con le sue leggendarie punizioni-bomba, l'arma in più di cui disponeva questo centrocampista offensivo che non amava, invece, calciare i rigori («Troppo facile...»). Il top della sua carriera, non a caso, fu proprio in quel Brasile che dominò il mondiale messicano, per molti la più forte squadra di tutti i tempi; di certo un attacco irripetibile composto da cinque «numeri 10» come Jairzinho, Gerson, Tostao, Pelè e, appunto, Rivelino, un quintetto messo assieme da Mario Zagallo guardando gli artisti e voltando le spalle alle tattiche. In un calcio in cui il fantasista non era ancora un ferro vecchio, la Seleçao poteva permettersi anche questo lusso, mettendo insieme anche valanghe di gol. Rivelino era certamente il più fisico di quei cinque gioielli, l'uomo che univa piedi raffinati alla potenza di gambe che sembravano quelle di un ciclista o di uno sciatore. Il baffo inconfondibile, lo spirito da battaglia, giocò anche i mondiali tedeschi del '74 (di cui si ricorda soprattutto il siparietto della punizione contro lo Zaire, in cui al fischio dell'arbitro fu uno degli africani in barriera a correre a calciare il pallone...) e fu l'unico dei magnifici cinque a ripresentarsi anche in Argentina nel '78 a fianco dei nuovi astri nascenti Zico e Cerezo. Giocò proprio la sua ultima partita in nazionale nella finale del terzo posto vinta ancora con l'Italia. Poi andò a monetizzare la fama acquisita nel campionato saudita.

Precursore di tanti altri pensionati d'oro.

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