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Roma, non solo follia. È l'impresa del coraggio e della normalità di Di Fra

Pallotta nella fontana e la città impazzisce. Il tecnico Di Francesco azzarda in campo ma è freddo fuori

Roma, non solo follia. È l'impresa del coraggio e della normalità di Di Fra

Roma - L'11 aprile del 2007 la Capitale di fede giallorossa si risvegliò ancora attonita dopo la batosta subita dallo United e da Cristiano Ronaldo. Undici anni dopo lo scenario è cambiato come la storia europea della Roma, sbarcata trionfalmente e con i complimenti dei tifosi di mezzo mondo, al prestigioso traguardo della semifinale di Champions.

Questione di follia che ha permesso di trasformare in possibile una rimonta per molti utopistica. E c'è stato molto di folle nella notte magica: la presenza in tribuna all'Olimpico di Sir Alex Ferguson che a Manchester fece la festa alla truppa di Spalletti prima di offrigli una pregiata bottiglia di vino; il bis dei giocatori giallorossi già in gol al Camp Nou (De Rossi e Manolas stavolta, fortunatamente, nella porta giusta); il tuffo nella fontana di piazza del Popolo di James Pallotta (pagherà la multa, ma anche una donazione di 230mila euro per quella del Pantheon); l'entusiasmo dei tifosi quasi come per la vittoria di una finale. E follia c'è stata anche all'apertura delle Borse, con il titolo dell'As Roma schizzato a +23,7%, e nelle giocate: il 15%, fonte Agipronews, ha puntato sul 3-0 finale quotato 44 volte la scommessa.

«Sono stato un pazzo», l'ammissione nella pancia dell'Olimpico del modesto e gentile Eusebio Di Francesco, l'artefice principale dell'impresa. Chissà se l'allenatore della Roma ha tratto ispirazione da Erasmo da Rotterdam e dal suo celebre elogio alla follia. «Sono due i principali ostacoli alla conoscenza delle cose: la vergogna che offusca l'animo, e la paura che, alla vista del pericolo, distoglie dalle imprese. La follia libera da entrambe. Non vergognarsi mai e osare tutto», una delle frasi celebri del saggio scritto dal filosofo olandese. Che di sicuro il condottiero romanista potrebbe far sua.

La sua pazzia è stata nella strategia della difesa a tre inventata dopo una notte in bianco a riflettere sul ko interno con la Fiorentina; nell'aver creduto, lui solo e la sua squadra, in un'impresa impossibile con una gara giocata col fuoco dentro ma anche con grande accortezza tattica; nell'aver alzato ancora di più l'asticella, puntando addirittura alla finale di Kiev e alla conquista della Champions. «Se avessi fallito, mi avreste ammazzato...», la chiosa del tecnico. Quasi dovesse togliersi definitivamente la scomoda etichetta di tecnico di provincia, mostrando un calcio diverso, europeo, quasi perfetto.

Follia in campo, normalità fuori. Questo è Eusebio Di Francesco, come dimostrano i festeggiamenti - intimi e soprattutto limitati, c'è un derby alle porte - tra le mura di casa con la sua famiglia, i selfie con i tanti tifosi che invadono il piazzale di Trigoria e l'umiltà con cui commenta a freddo la notte da leggenda: «Fa piacere che quest'impresa che lascia una traccia nella storia del calcio italiano l'abbiamo fatta noi». Togliendosi comunque, con stile e un pizzico d'orgoglio, qualche sassolino dalla scarpa dopo le critiche: «Ho preso ogni tanto degli schiaffi, ma ho sempre saputo reagire».

Intanto ha dato un'altra lezione - calcistica - a Valverde, già battuto nettamente quando lo spagnolo guidava l'Athletic Bilbao e il buon Eusebio rendeva ammirato anche in Europa il Sassuolo dei miracoli in Italia. Entrambi stavano vivendo la gavetta prima della grande occasione: Valverde, che ha mutato pelle al Barcellona, si prenderà la Liga, Di Francesco sogna addirittura di sollevare la Coppa dalle grandi orecchie. Che dopo la lectio magistralis di martedì, sarebbe una laurea honoris causa nella maggiore università europea del pallone.

Che sta per elargire un'altra quindicina di milioni alle casse della Roma, ossigeno puro per chi deve guardare al bilancio.

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