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Ronaldinho, il sorriso del pallone

Ha segnato e incantato dal Brasile al Milan. L'ha fermato solo Ibra

Ronaldinho durante la presentazione al club messicano
Ronaldinho durante la presentazione al club messicano

L a vera gioia del calcio mondiale si è ritirata a vita privata. Questa volta senza ripensamenti, con comunicato solenne del fratello manager, Roberto Assis de Moreira, al Globo che è poi il media di riferimento per ogni brasiliano di fama internazionale. La vera gioia, per gli occhi di chi ha avuto la fortuna di ammirarlo lungo la cavalcata della sua straordinaria carriera, è Ronaldinho, professore in lettere (proprio così: laurea honoris causa nell'aprile del 2011 ricevuta dall'Accademia brasiliana) e in dribbling memorabili. Il più famoso di tutti divenne elastico così chiamato perché quando ti sembrava di avergli catturato il pallone, quello spariva d'improvviso e ritornava tra i suoi piedi d'artista.

Gioia pura trasferiva al pubblico, ai ragazzi d'ogni età per il suo modo di interpretare il calcio, mai una battaglia epica semmai una sfida a chi inventava la giocata irresistibile, per i gol apparecchiati in numero industriale con il Brasile (33 in 97 presenze) e per i club che hanno usufruito della sua classe, per gli assist disegnati col compasso. Tutto questo è stato Ronaldinho e perciò non deve certo meravigliare la striscia inimitabile di trofei vinti, dal mondiale al Pallone d'oro e alla Champions league. Probabilmente, lui che è un esteta in tutto, anche nel pittoresco look, ricorderà più di ogni successo, quell'applauso ammirato del Bernabeu, stregato dopo il 3 a 0 inflitto dal Barça, eterno rivale.

Ad assaporare il gusto unico della sua limpida classe è stato il Milan di Silvio Berlusconi e Adriano Galliani protagonista della trattativa che a luglio 2008 lo portò a Milanello tra ali di folla (40 mila a San Siro per il benvenuto). Era il Milan dagli effetti speciali se si pensa che in quella stagione potè allestire una formazione con Beckham, Pirlo, Seedorf, Kakà, Pato e Ronaldinho appunto, tutti insieme, appassionatamente a far mostra di calcio stellare. Con Kakà e Pato formò il trio che infinite emozioni addusse ai tifosi rossoneri: incantò San Siro con le diaboliche punizioni, togliendo il primato di Pirlo, divenne un idolo col primo gol nel derby, una capocciata su cross abile di Kakà.

A dire il vero il miglior Ronaldinho fu quello ammirato l'anno dopo con Leonardo in panchina: affinità elettive e qualche concessione nel privato favorirono i suoi 15 sigilli arricchiti da 16 assist. A incoronarlo leader del gruppo provvide Silvio Berlusconi, con la cerimonia del tavolino su cui lo fece salire, circondato dal gruppo schierato a corolla, per un giuramento solenne. Il brusco addio coincise con l'arrivo di un'altra prima donna, Ibrahimovic, e con Allegri in panchina: uno, lo svedese, non tollerava le sregolatezze del brasiliano, Dinho non sopportava le sfuriate di Zlatan a ogni mezzo passo falso. Così, mentre sudava e correva a Dubai, ritiro post natalizio nel gennaio 2011, decise di salutare e di tornare a casa, lontano dal barrio di Porto Alegre dov'era nato, ma in un calcio che avrebbe rispettato la sua sagoma appesantita e il suo talento infinito.

«Mai nessuno meglio di te» l'omaggio, tra i tanti, di Kevin Boateng. Chissà come l'avrà presa Ibrahimovic!

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