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San Antonio da battere con un Messina in più

San Antonio da battere con un Messina in più

Inizia la Nba e dal punto di vista italiano è grasso che cola, anche stavolta. È dal 2006 che la presenza nostrana nella Nba è fissa, e ora raggiunge il suo massimo storico: il campione in carica Marco Belinelli, che torna a vestire la maglia dei San Antonio Spurs, Andrea Bargnani (prima scelta proprio nel 2006), Gigi Datome, il ritorno di Danilo Gallinari dopo un anno di sosta per infortunio e l'aggiunta di Ettore Messina, che dopo l'esperienza come assistente/consulente del 2011-12 per i Los Angeles Lakers ha assunto un ruolo molto più importante proprio a San Antonio. A chiamarlo è stato Gregg Popovich, l'allenatore capo considerato la mente più acuta del basket, con una sfumatura di perfidia impassibile che pare cucita dal fato addosso a uno che, in passato, aveva anche lavorato come esperto di relazioni occulte con l'Unione Sovietica. Se poi la capacità di turlupinare il prossimo guardandolo in faccia sia nata in Popovich da quel lavoro, o sia stata invece la motivazione che lo ha portato a farlo, conta poco: il sistema di gioco di San Antonio, che sublima il talento dei singoli nell'ambito di un contributo di squadra, senza però porre tutti sullo stesso piano, è diventato così popolare e paradigmatico da essere elogiato, probabilmente, anche da chi non lo comprende, timoroso però di restare fuori moda se non ne tesse le lodi.

È naturalmente da vedere se ci sarà un bis del titolo del 2014: bastano 1-2 elementi fuori registro tra quelli della rotazione per perdere una serie, e del resto - sistema o no - gli Spurs prima di quello 2014 non vincevano un titolo dal 2007, pur avendo come nucleo quello composto da Tim Duncan, Tony Parker e Manu Ginobili. Tra i potenziali ostacoli, a ovest i Los Angeles Clippers e i soliti Oklahoma Thunder, che però per due mesi non avranno Kevin Durant, l'uomo che pur essendo 2.06 fa sembrare tutto facile, mentre a Est c'è un insano interesse per capire cosa potrà fare a Cleveland LeBron James, tornato a “casa” (che è in realtà ad Akron, qualche chilometro più giù) dopo 4 anni e 2 titoli con i Miami Heat. Nella stessa division, la Central, Chicago è candidata a fare ottime cose, mentre a parecchie migliaia di chilometri di distanza si assiste al ritorno di Kobe Bryant, 36 anni, che lo scorso anno ha giocato solo sei partite prima di infortunarsi. Sarà una grande stagione, ma lo si può dire ogni anno a proposito di qualsiasi sport americano di squadra. Inarrivabile la Nfl come popolarità, la Nba conserva peraltro una magia speciale, se riesce ad essere così seguita nonostante sia, tra le quattro leghe pro, quella in cui forse è più facile indicare già a ottobre le candidate - poche - al titolo.

La spettacolarità, anche quando sia fine a se stessa, pesa più della prevedibilità.

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