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Seedorf non soddisfa nemmeno Berlusconi

Capi d'accusa: strani allenamenti, gestione del gruppo, poco rispetto dei nazionali, l'ultimo caso su Montolivo

Seedorf non soddisfa  nemmeno Berlusconi

L'errore di fondo è appendere il destino di Clarence Seedorf ad una frase. Disse Adriano Galliani, prima di guidare da commissario politico il gruppo rossonero nella doppia trasferta di Roma (Lazio) e Firenze): «Tutti gli allenatori del Milan sono stati dipendenti dai risultati». Il Milan era reduce dalla devastante sconfitta col Parma, 4 a 2 a San Siro dopo essere uscito dalla Champions castigato da identico passivo, i curvaioli pronti a contestare, e l'olandese continuava a ripetere un ritornello-paracadute: «Sono venuto per ricostruire, la mia stagione comincerà l'anno prossimo». Di qui l'intervento di Galliani che ebbe l'effetto terapeutico di fermare l'emorragia di sconfitte (5 su 6 partite) e dare inizio a una promettente striscia (4 successi più un pari nelle ultime 5).

In queste ore molti hanno preso spunto da quella frase del vice-Berlusconi per considerare fuori luogo il gelo intervenuto dopo l'1 a 0 sul Catania. «Ma come: adesso che ha preso a vincere lo vogliono liquidare?» l'obiezione scontata. Che viene sostenuta anche da due altre considerazioni obiettive: la migliorata salute fisica della squadra rispetto a gennaio, la golosa tabella di marcia del girone di ritorno targato Seedorf, Milan terzo dietro Juve e Roma addirittura.

Sbagliata la premessa, sbagliato il quesito successivo. Perché il punto da cui prendere le mosse è un altro. Silvio Berlusconi ha investito il suo prestigio e la sua fama di inventore di allenatori (Sacchi e Capello) nello scegliere Seedorf puntando sui seguenti requisiti: sintonia calcistica per il bel gioco, intelligenza, conoscenza perfetta di uomini e ambiente, cultura. Sapeva, contestualmente, che c'erano rischi legati all'inesperienza dell'olandese. Perciò lo ha tenuto in sella nel periodo delle sconfitte, e ha continuato a seguirlo con attenzione nella sequenza di segno positivo. Perché alla fine del primo ciclo, il club, deve tirare le somme e capire se il "professore" è stato all'altezza del compito o ha tradito le grandi aspettative. Il silenzio fin qui dimostrato da Galliani è un segnale: non vuole esporre il Milan a una dichiarazione che risulti impegnativa per la stagione prossima.
La spiegazione è elementare: da Arcore rimbalzano segnali di insoddisfazione legati ad alcuni fattori tipo metodi di allenamento molto pittoreschi (certe esercitazioni tra i birilli colorati vengono definite dagli interessati "giochi senza frontiere"), gestione del gruppo (non sono mai arrivate così tante proteste da giocatori e procuratori nemmeno ai tempi di Terim) , rispetto dei ruoli di alcuni esponenti di primo piano (i nazionali Montolivo, Abate e De Sciglio ieri tornato in gruppo). Il patrimonio di un club è lo spogliatoio: deprezzarlo, con scelte discutibili, non è un contributo a risollevare le quotazioni dell'azienda. Anche Capello, che pure rappresentò una mossa temeraria del presidente, finì in rotta di collisione dopo la famosa sequenza (4 scudetti in 5 anni) per il logorio con lo spogliatoio: tra cambiare mezza squadra e sostituire l'allenatore è sempre vantaggioso rimpiazzare l'inquilino della panchina. L'ultimo episodio, l'iniziale esclusione di Montolivo a favore di Birsa, poi corretta in tempo utile per vincere col gol del centrocampista, ha moltiplicato le perplessità.


Cosa s'inventerà Clarence sabato santo contro il Livorno? Poche ore e sapremo rispondere all'interrogativo.

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