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Il Sei Nazioni scopre l'Italia I galletti stesi un'altra volta

Orquera ispira, Parisse e Castrogiovanni affondano la Francia. La squadra di Brunel adesso non è più la cenerentola del torneo

Il Sei Nazioni scopre l'Italia I galletti stesi un'altra volta

E adesso non chiamatela impresa. L'omaggio più grande che possiamo fare a questa nazionale è quello di non celebrare il trionfo dell'Olimpico sulla Francia come un'impresa, come il miracolo che invocavamo. Questa vittoria è una cosa ben più seria. Non è una sorpresa occasionale, non è il colpo della domenica, è il frutto del lavoro profondo, strategico di Jacques Brunel, il ct francese (scherzi del destino) che sta plasmando un'Italia finalmente degna di questo torneo, di questo Sei Nazioni dove siamo stati a lungo messi sotto esame, se non sotto processo, e dove invece adesso tutti scoprono che ci siamo anche noi.
L'Italia che ha battuto la Francia all'Olimpico (23-18) con le mete dei suoi uomini-simbolo, Sergio Parisse e Martin Castrogiovanni, non è altro che la maturazione di quella già intravista nei test di novembre, quando siamo riusciti a impensierire gli All Blacks e a sfiorare il miracolo (quello sì) contro l'Australia. Forse proprio in quelle due sconfitte a testa alta è nata la consapevolezza di non essere più i parenti poveri dell'Europa ovale. Adesso finalmente si può guardare in faccia chiunque, almeno nell'emisfero boreale, perché battere la Francia non è più un sogno, ma una cosa che da oggi in poi si potrà sempre mettere in conto.

Non chiamatela impresa, perché le imprese con i galletti fortunatamente sono quelle che ci siamo lasciati alla spalle. La prima volta in cui li battemmo, una ventina d'anni fa, loro ci affrontavano ancora con una nazionale B, la squadra riserve in pratica, perché dalla famosa disfatta di Tolone (60-13 nel '67) non ci ritenevano più degni della loro nazionale vera. E questa era la cosa che più ci dava fastidio, finché proprio un altro ct francese, Georges Coste, cambiò la storia: prima li sconfisse a Treviso e li costrinse ad affrontarci di nuovo con tutte le loro stelle, poi andò a batterli addirittura a casa loro, a Grenoble, nel '97, in finale di coppa Europa, in quella che per noi resta la madre di tutte le partite, perché ci spalancò di fatto le porte del Sei Nazioni.
Due anni fa al Flaminio per i galletti arrivò finalmente anche il primo schiaffo nel Sei Nazioni, con Nick Mallett sulla panchina azzurra, la meta di Masi e il piede ispirato di Mirco Bergamasco: finì 22-21 e qualcuno disse che si era ormai a fine torneo, che la Francia era demotivata, con la testa già al mondiale. Eppure quella stessa Francia pochi mesi dopo (ovvero un anno fa) perse di un soffio e forse immeritatamente la finale in casa degli All Blacks. E adesso si è inchinata di nuovo, senza attenuanti, a una stupenda Italia.

Una Francia frastornata, inguardabile nelle touche, capace di commettere un'infità di “in avanti”, infilata senza pietà da Parisse con la stupenda meta in apertura (erano passati appena 4 minuti) e da Castrogiovanni con quella del sorpasso definitivo (al 57'), arrotondato da un fantastico drop di Burton. Ma una Francia irretita soprattutto dal gioco che l'Italia ha saputo sviluppare, guidata dalle sapienti mani di Luciano Orquera, il mediano di apertura di Cordoba, l'italo-argentino che potrebbe finalmente essere il degno erede di Diego Dominguez, il grande protagonista di questo dolce pomeriggio romano che ha ispirato le due mete, prima tagliando la difesa francese per quaranta metri e offrendo la palla a Parisse, poi mettendola letteralmente in mano a Castrogiovanni con una magia d'alta scuola.
Ma ciò che ha colpito di questa vittoria è stato l'atteggiamento dell'Italia, la capacità di fare gioco, di ripartire in contrattacco, di far girare la palla come raramente avevamo visto in precedenza. Sabato in Scozia, dove andiamo da favoriti contro una squadra che nel Sei Nazioni è stata spesso la nostra vittima, ci sarà l'esame di maturità. Perché questa Italia non è più la cenerentola del torneo.

E per questo il secondo trionfo sulla Francia in tre stagioni non è più da considerare un'impresa.

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