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"Sempre Juve, ma se il Napoli... E Milano che torna m'affascina"

L'ex ct fa 60 anni: «Negli Emirati per creare altri talenti... Sarri unisca gioco e risultati. Milan e Inter, che allenatori»

"Sempre Juve, ma se il Napoli... E Milano che torna m'affascina"

Dall'oratorio di Orzinuovi, dove gli amici lo chiamavano Spuma (i suoi avevano un ingrosso di bibite), ai 50 gradi degli Emirati Arabi. In mezzo 60 anni - Prandelli li festeggerà domani - quasi tutti di pallone. Mediano di qualità approdato alla corte juventina quando i fischi del Trap martellavano anche Platini, tecnico del settore giovanile atalantino - in 7 anni due scudetti e un Viareggio - e tante panchine (promozione in A col Verona, Parma, un bel periodo Champions a Firenze - dove ha deciso di abitare -), vice campione d'Europa con l'Italia nel 2012 e una brutta avventura al Mondiale brasiliano. Archiviate le esperienze con Galatasaray e Valencia, ora riparte dall'Al-Nasr.

È a Orzinuovi in mezzo alla tribù dei Prandelli?

«Sì, sono molto contento. Dopo 48 giorni fuori non vedevo l'ora di riabbracciare parenti e amici».

Taglierà il traguardo dei 60 al caldo degli Emirati

«Sentivo il bisogno di ripartire in un certo modo. Mi hanno corteggiato a lungo e mi hanno convinto. Si può far crescere questo movimento, la vittoria sarebbe produrre uno-due talenti all'anno».

Dopo 25 anni sarà il primo campionato senza Totti.

«Ho ancora negli occhi la sua festa, quell'evento è stato di tutti coloro che amano il calcio. Quando un campione arriva a esporsi come ha fatto lui, mettendosi in discussione con la stessa maglia, dobbiamo parlare di grandi capacità».

Che stagione vivremo?

«Vedo ancora davanti la Juve, poi il Napoli: se Sarri unisce gioco e risultati... Ma c'è pure il fascino di Milano di nuovo protagonista con due ottimi allenatori. Con la Roma abbiamo 5 squadre pronte a vivacizzare il campionato. Senza dimenticare le sorprese».

In fin dei conti sono cambiate solo quattro panchine

«Siamo in Italia Quando il gioco si fa caldo so come si ragiona Spero di sbagliarmi».

Lei poteva rientrare in A?

«Solo chiacchiere. Poi è arrivata la proposta araba e ho accettato perché la valutavo interessante».

Di lei si dimentica la fantastica avventura all'Europeo e non il disastro Mondiale.

«Il calcio è come la vita, dipende da come lo racconti. Il tempo sarà galantuomo. In Italia funziona così: abbiamo battuto i tedeschi campioni del mondo ma la loro leadership non è stata messa in discussione».

Dopo 5 anni, di nuovo una partita da dentro o fuori con la Spagna. Analogie?

«Non mi pare. Noi incontrammo i campioni d'Europa e del Mondo: questa Spagna è forte, ma ha anche dei giovani così come li ha l'Italia. Sarà interessante capire a che punto è lo stato di maturazione dei ragazzi».

Belotti è l'attaccante del momento.

«Io lo convocai per uno stage. Ora sta rappresentando il futuro del calcio italiano. Alla fine quando hai una punta con queste caratteristiche, sei fortunato».

Lei chiamò Bernardeschi, allora in B, un paio di mesi prima della partenza per il Mondiale. Si aspettava diventasse uomo mercato?

«Ha qualità di corsa superiori alla media e mezzi tecnici, può raggiungere livelli europei di spessore. Non mi aspettavo che la Fiorentina lo cedesse: credevo che su lui e Chiesa investisse per due-tre anni, anche per una questione di immagine».

Più lontana l'Italia dal Mondiale o la Juve dalla Champions?

«Non c'è molta distanza: siamo competitivi con gli azzurri e con le squadre di club».

Le sue battaglie in azzurro non andarono in porto. Ventura almeno sugli stage ha avuto ragione. Perché?

«Quando ero ct, Lega e Figc erano molto distanti. Poi le frizioni si sono attenuate, con Lotito diventato vicepresidente federale. Volevo gli stage perché nelle prime 5 squadre di A impegnate nelle coppe c'erano pochi italiani. Bel segnale allungare il contratto a Ventura».

È l'estate di Neymar e delle cifre folli.

«Sul codice etico ho già dato Devono essere i presidenti a darselo. Prendete il brasiliano: 10 milioni di tifosi del Psg godono, gli altri rosicano. Non puoi chiedere alla gente di rinunciare alle emozioni, devono essere altri a darsi regole».

Su cosa dovrebbe scommettere il calcio italiano?

«Sul recupero dei valori del territorio. Il presidente Bortolotti a Bergamo diceva che nel vivaio dovevamo prendere ragazzi delle nostre zone, un giorno sarebbero comunque diventati tifosi dell'Atalanta. Se ho 100 giovani, 80 li vorrei di casa mia. Torniamo alla passione per questo sport, basta parlare di plusvalenze».

Dimissioni con l'Italia e a Valencia: lo rifarebbe?

«In quelle condizioni era giusto farlo. Con la Nazionale poi accadde un fatto eccezionale: un minuto dopo le diede anche il presidente federale».

Lei lasciò subito la Roma: sua moglie Manuela si era ammalata gravemente.

«Era normale compiere quella scelta, non impiegai tempo per riflettere. Sono stato anche fortunato: il mio lavoro mi ha permesso di prendere decisioni così».

Il regalo per i primi 60 anni?

«Ora mi godo la famiglia, mi lancio in questa nuova sfida di calcio e spero che l'età mi regali la misura per leggere meglio tutto».

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