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Serve una Rossa rischiatutto altrimenti addio Mondiale

Bottas vince alla Hamilton. Vettel anonimo 3°, Leclerc 5° col dubbio di essere stato sacrificato. Binotto: «Ora oseremo»

Serve una Rossa rischiatutto altrimenti addio Mondiale

Al netto dell'ennesima delusione in salsa ferrarista, il Gran premio dell'Azerbaigian ci ha regalato una splendida storia umana e sportiva. Solo che è mezza tedesca e mezza finnica. Solo che racconta di un pilota un po' tozzo e un po' buffo, un po' Fred Flinstone e un po' bravo ragazzo. Troppo bravo ragazzo. Valtteri Bottas. Fino a quest'anno, perfetto maggiordomo e imperfetto pilota.

Al netto della frustrazione rampante di Sebastian Vettel mai in gara e alla fine terzo, di Charles Leclerc velocissimo extraterrestre nella prima parte su gomme medie e normalissimo umano nella seconda con le morbide e alla fine quinto con il punto in più del giro veloce, al netto di tutto questo il breve e intenso duello ruota a ruota andato in scena nelle prime tre curve tra il troppo buono Bottas, scattato dalla pole, e il troppo cattivo Hamilton, partito leggermente meglio, è di quelli che i palati fini apprezzano e non dimenticano. Perché c'è tutta l'essenza della rivalsa umana e sportiva. Da una parte l'ingordo campione che vuole un altro titolo e cerca di rispedire in cucina a riempirgli il vassoio il maggiordomo avuto al servizio nelle ultime due stagioni, dall'altra il maggiordomo che gli sbatte in faccia per tre volte il suddetto vassoio. E s'invola via. E, ripreso sul finale, non molla, lo tiene a distanza tra i muretti e le curve interstiziali di questo incredibile tracciato senza mai sbagliare nulla.

Primo e secondo, dunque. Sul podio e nella classifica. Primo e secondo come lo sono da inizio stagione con il troppo buono che torna in vetta, di un solo punto, quello del giro veloce afferrato in Australia. Primo e secondo. Due vittorie a testa e quattro doppiette consecutive per la Mercedes che sono record mai visto nei quasi settant'anni di formula uno. E soddisfazioni pesanti. Tanto quanto la delusione ferrarista.

Perché le emozioni del Gran premio di Baku finiscono qui. Il resto è la mesta processione delle due Ferrari e dei suoi piloti per portare a casa ancora qualcosa ma non quel qualcosa che tutti, fin dai test di Barcellona del febbraio scorso, avevano sognato. Terzo podio. Il secondo con Seb. Due per il tedesco e uno per il monegasco. Questa la scarna contabilità della Ferrari 2019, imbarazzante il confronto con le quattro doppiette dei rivali. Il suo presidente, John Elkann, in visita pastorale e motivazionale, sorride ma solo perché deve. Cos'altro potrebbe fare? È in balia, lui come gli altri, degli scherzetti del destino. Vedi l'incidente di Leclerc del sabato che ha forse privato il monegasco e la Rossa di una prima fila; e vedi altri scherzetti, ben peggiori: quelli della Mercedes. Perché se dopo l'Australia lo si era solo sospettato, adesso è certezza: il team tedesco sta giocando. Lontano nei test di Barcellona che pareva la Ferrari avesse già il mondiale in pugno e vicino, anzi, davanti in Australia, con le Rosse in qualifica distanti sette decimi. Solo in Bahrein la tendenza è stata invertita: le frecce d'argento a tre decimi. Gli stessi poi rifilati al Cavallino, di sabato, sia in Cina che a Baku. Certo, li ha presi Vettel; è vero, Leclerc prima di andare a muro pareva indiavolato. Ma sul muro in cui si è impiantato non stava scritto che sarebbe certamente andato in pole.

Anche perché la dimostrazione di superiorità tedesca non lascia spazio ai «se» ferraristi, tanto meno la frase di Lewis: «Mai vista la Mercedes così forte». Perché gli aggiornamenti portati dalla Rossa a Baku sono serviti ma non abbastanza. Appena serve, i tedeschi toccano, modificano, sfoderano qualcosa che ricaccia a distanza di sicurezza i rivali. E il mondiale, con Bottas e Hamilton a 87 e 86 punti, e Vettel a 52, è quasi andato. Per questo Binotto dice «dovremo essere più aggressivi nello sviluppo». È l'ultima chance. Prepariamoci: sarà una Ferrari rischiatutto, in pista e fuori.

Non ha più nulla da perdere.

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