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Lo show dell'ultrà Conte alibi per il fallimento Juve

Il post-Benfica del tecnico bianconero nella tradizione dell'Italia dei piangina Il futuro: Pirlo rinnova, megaofferta per Pogba. È caccia a un esterno creativo

Lo show dell'ultrà Conte alibi per il fallimento Juve

nostro inviato a Torino

Nello stile caciarone-folkloristico del miglior Malesani, Antonio Conte ha accompagnato la Juve fuori dall'Europa. Ci fosse stato Gianni Agnelli non sarebbero passati inosservati gli atteggiamenti da ultras, sul campo e fuori. Magari una battuta, ma sarebbe arrivata. Il tecnico deve portarti a vincere, non alle risse verbali. Qui pare ci siano solo malumori dietro le quinte, nulla di ufficiale. E l'Agnelli junior era a Detroit per il Cda della Fiat, dunque avrà vissuto tutto da lontano. L'Italia del calcio perde ancora colpi nel ranking (ora passa dietro al Portogallo) e perde buongusto e dignità nel modo di accettare le sconfitte. Che la Juve sia una squadra ancora lontana da un buon livello internazionale, lo dicono i risultati di questi due anni. E non c'è Conte che possa dimostrare il contrario. Semmai andrebbe dimostrato a chi vada attribuito tale ritardo di crescita. Il fallimento europeo, perché trattasi di fallimento a dispetto di una semifinale, è nato dagli errori in Champions, da qualche tremolio in Europa league fin agli svarioni nella partita di Lisbona. Ancora una volta è bastato alzare il livello dell'asticella e la Juve è passata sotto. Squadra distratta in difesa (anche a Torino ha rischiato di farsi bucare da Rodrigo dopo un minuto), inefficace a Lisbona in alcune scelte del tecnico, in ritardo nel cambiare passo a Torino e nel cercare alternative nel gioco e nei giocatori, vista la difficoltà a bucare il Benfica.

E il post partita di Conte è stato certamente più ignobile del modo in cui la squadra ha provato a raggiungere la finale che si sarebbe giocata a Torino, occasione irripetibile per l'orgoglio del mondo bianconero: la squadra ha lottato, si è battuta, ha spiegato tutto il suo sapere calcistico ma non ha trovato il gol, che poi è l'essenza del successo. L'allenatore, invece, ci ha riportato alla cultura del sospetto avviata da Rudi Garcia. Il poveretto si era preso del provinciale. Invece il nostro ha messo in fila tutte le accuse che fanno rima con alibi. Un inno alla sportività e alla obbiettività: «Va in finale la squadra che ha meritato di meno. Non mi è piaciuto l'atteggiamento ostruzionistico degli avversari ma soprattutto l'arbitro che ha permesso tutto questo. É stata una presa in giro abbastanza forte anche il recupero. Ci hanno negato un rigore evidentissimo. Ma forse la lamentela preventiva del Benfica è servita: ho visto grande tutela dell'arbitro. Speriamo ci sia più rispetto da parte dell'Uefa in futuro». Uno show così rattristante che un giornalista portoghese gli ha chiesto se, per caso, non fosse giusto riconoscere anche il valore degli avversari, che ora affronteranno il Siviglia rocambolesco finalista. Inutile. Conte ha visto un rigore da far sorridere e non si è accorto che Chiellini ne ha rischiato uno grossolano. Eppure era stato proprio il tecnico juventino a raccontarci, dopo le battute di Garcia: «Alimentare la cultura del sospetto è un passo indietro di cui il calcio italiano non ha bisogno». Gli è bastato finir lesso contro il Benfica che è una buona squadra, non di più, ed ecco il Conte provinciale, l'Italia dei piangina (c'è riscatto perfino per Mazzarri), la Juve ridotta al rango di Signora del dispetto e del sospetto.

Uno sgarbo alla storia di una squadra che, in Italia, ha dimostrato di saper vincere con le sue forze e le sue qualità. Invece la Juve europea ha faticato troppo e troppo spesso. L'altra sera ha tirato in porta tre volte in modo decente, ha sprecato forse due occasioni, non ha ritrovato il Tevez e deflagrante del campionato e della partita di andata. Alla Juve manca qualcuno che scompigli, destabilizzi le difese avversarie: tutto è monotono, intuitivo, immaginate se poi manca un po' di forza nelle gambe. Il mercato andrà a cercare due esterni offensivi attrezzati di fantasia e uno stopper nel nome di Ranocchia. I numeri dicono che la squadra in Europa ha segnato 19 gol in 14 partite (in campionato 75 su 35 sfide), e ne ha subiti 13 (solo 10 in meno rispetto ai 35 match di campionato): la radiografia è chiara. In Europa tutto è finito con una zuffa tra Vucinic e Markovic e qualche contatto eccessivo tra giocatori negli spogliatoi. Il giorno dopo siamo già agli annunci: Pirlo che rinnoverà per due anni. Pogba che potrebbe restare nonostante le gigantesche offerte, ultima quella senza limiti del Manchester City: 40 milioni, più Dzeko e l'estinzione del debito per Tevez. Conte potrebbe rinnovare oltre il 2015, converrà a lui più che alla Juve.

Per ora l'Europa che conta è lontana anche per la sua panchina: i risultati fanno pedigree o fallimento.

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