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La Signora prigioniera della regola del "7". Dagli scudetti vinti alle finali perse a quei "vizi"...

Sette come il colombiano salvatore in campionato ma anche come Ronaldo fatale in Champions, sette come i bianconeri ormai in partenza e sette come...

La Signora prigioniera della regola del "7". Dagli scudetti vinti alle finali perse a quei "vizi"...

Il «7» è quello di Cuadrado che, a dispetto del cognome angolato, ha reso perfettamente tondo, nemmeno fosse Giotto, il campionato della Juventus. Lo ha fatto prima togliendo dal fuoco la «castagna» Milan (31 marzo) che altrimenti, sotto forma di pareggio casalingo, avrebbe appesantito il cammino bianconero con un fardello inatteso, poi, e soprattutto, usando come sponda una gamba dell'interista Skriniar di nome Milan (28 aprile), per pareggiare (e poi vincere) a San Siro contro l'Inter. Come a dire, «fate largo, voi di Milano, anche questa volta passiamo noi, e sono sette...». Fra l'altro, il terzo nome di Cuadrado sarebbe, anzi è Bello. E pazienza se non tutte le signore amanti della Vecchia Signora concordano...

Ma ovviamente il «7», almeno in questo 2018, è molto più del numero di maglia della freccia colombiana. È il numero del record, la nuova perla di una collana ininterrotta inaugurata dal primo Conte nel lontano, lontanissimo (per i tifosi delle altre squadre) 2012 e che ora «il conte Max» reca in dote a casa Agnelli, forse come ultimo, personale, regalino. È un record nazionale, certo, visto che nel resto del mondo pallonaro sono in tanti, a partire dagli svizzeri del Basilea per arrivare fino al Tafea Football Club della Repubblica di Vanuau (che è a quota 15), ad aver fatto meglio. Però se i citati Milan e Inter non si daranno una sonora sveglia, a partire dall'ormai imminente campagna di calciomercato, l'anno prossimo di questi tempi saremo di nuovo qui, stessa spiaggia, stesso mare di parole sotto l'ombrellone del luogo comune, a parlare di un altro numero, l'«8», che somiglia al simbolo dell'infinito, ma messo in verticale.

«Sette», inoltre, sono i vizi capitali che, traslati nel mondo a righe bianche e nere, diventano quasi tutti, come per incanto, virtù: la superbia, in fondo, è strettissima parente e conseguenza dell'oggettiva superiorità; l'avarizia è tipica di chi non lascia agli altri nemmeno le briciole sulla tovaglia; la lussuria consiste nel godere fino all'estremo, tuttavia senza mai saziarsi; la gola si manifesta nella bulimia di scudetti, a questo punto diventata patologica; l'ira (funesta) del post-Bernabeu ha messo per qualche ora a soqquadro le alte sfere del collegio arbitrale europeo e dell'Uefa medesima, subito ricomposte in un claustrale e assordante silenzio. Quanto all'accidia e all'invidia, è vero, non è facile volgerle in positivo con una rovesciata retorica in stile Cristiano Ronaldo, ma sono state anch'esse figlie del ben noto miedo escénico madridista, un'enclave che, come ognun sa, obbedisce a leggi tutte sue e non scritte, per non lasciare tracce...

«Sette» sono poi i «fratelli» bianconeri, cioè Buffon, Barzagli, Lichtsteiner, Marchisio, Khedira, Mandzukic, Dybala, che probabilmente dalla prossima stagione non convoleranno più a nozze con quelle smorfiose delle «sette sorelle» di Champions League, vale a dire Real Madrid, Barcellona, Bayern Monaco, Manchester City, Manchester United, Liverpool e Paris-Saint Germain, con addosso la maglia attuale. «Tutto scorre», diceva un saggio anche più saggio di Giampiero Boniperti. Vero, ma tutto sta a capire dove sfocia, se nell'oceano della concorrenza o in un laghetto da pensione dorata.

Poi, siccome tutte le medaglie hanno il loro rovescio (e qui il fresco di estetista CR7 - toh, ecco un altro sette - c'entra fino a un certo punto), all'universo estraneo alla galassia juventina non resterebbe che coccolare un altro «7», l'ultimo, quello senza un filo di bianco e tutto nero. È il «7» del loro mantra dal titolo «Sette finali perse». Il rosario recita: «Ajax '73 - Amburgo '83 - Borussia Dortmund '97 - Real Madrid '98 - Milan 2003 - Barcellona 2015 - Real Madrid 2017». Quei malandrini, però, andrebbero fuori tema, meritandosi un «7» sì, ma soltanto in condotta. Perché oggi si fa l'Italia e si vince, oggi l'autarchia sabauda festeggia con discrezione, nell'intimità delle ville in collina, un primato senza precedenti.

Forse parafrasando il detto attribuito da Plutarco a un meridionale di nome Gaio Giulio Cesare: «Meglio primo in Italia e secondo in Champions».

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