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La Spagna 2010 del tiki-taka lasciò il segno. Ma i Bleus assomigliano all'Italia del 2006

La Roja svettò per il gioco inimitabile, la Germania per l'organizzazione

La Spagna 2010 del tiki-taka lasciò il segno. Ma i Bleus assomigliano all'Italia del 2006

Questa Europa, quella del calcio, non se la passa male. Il grande freddo delle squadre sudamericane prende l'occhio scorrendo l'albo d'oro del Mondiale: 4 vincitrici del Vecchio Continente nelle ultime 4 edizioni a fronte di una alternanza che pareva quasi d'obbligo dal 1938 in poi. Le ultime quattro edizioni si leggono così: Italia 2006 (4° titolo), Spagna (prima volta) 2010, Germania (poker) 2014, Francia (2° titolo) 2018. Per ricordarle con un colpo d'occhio, diciamo: Italia di primedonne, Spagna del talento, Germania dei secchioni, Francia della beata gioventù. E pazienza se i francesi hanno esagerato vestendo anche la Gioconda con la maglia dei Bleus. Leonardo era certo più bravo di Deschamps nel costruire opere d'arte. Sebben questo ghiribizzo alla leonardesca memoria ci porti ad un fondo di verità. La Francia ha riabilitato il vituperato gioco all'italiana: grande difesa, contropiede da killer, concentrazione e determinazione. Così vinse l'Italia 2006 raccolta intorno a Buffon e Cannavaro (Materazzi usò altri sistemi con Zidane), con centrocampo a resa rapida, qualità e talento in attacco. Così ha vinto la Francia fortificata da Varane e Umtiti, affidata a Kantè, Pogba e Matuidi, pronta ad infilare M'Bappè e Griezmann nel burro delle difese altrui.

Quell'Italia ci lasciò un Cannavaro pallone d'oro, questa Francia potrebbe aver sfornato il prossimo pallone d'oro.

Vero, però, che la vie en rose di una squadra campione forse finisce nel momento in cui vince. Poi cominciano i grattacapi. E lo spiega il seguito della storia. Ad ogni vittoria è seguito un tonfo, anche clamoroso, nel mondiale successivo. Come è finita l'Italia nel 2010? Eliminata al primo turno. La Spagna nel 2014? Eliminata al primo turno. La Germania nel 2018? Eliminata al primo turno. Eppure tutto il mondo profetizzava momenti di gloria per i campioni. Forse non è stato scritto così esplicitamente per l'Italia di Lippi: non tanto sorprendente nel valore dei giocatori quanto nel risultato. Non era previsto lasciasse un segno nel calcio europeo, benché Totti e Del Piero, Inzaghi, Buffon e Cannavaro, Gattuso e Pirlo abbiano lasciato segno nel calcio. Il lascito dell'ultimo pallone d'oro è il riconoscimento più tangibile. Poi sono arrivati Messi (uno rubato a Iniesta) e Ronaldo a far scorta.

Diverso, invece, per la Spagna: fantastica e splendente, reduce dal successo nell'europeo, addobbata dal gioco quasi sudamericano del Barcellona. Iniesta e Xavi, Xabi Alonso e Villa, Piquè, Sergio Ramos e Casillas prolungarono lo spettacolo fin agli europei 2012. Poi il tempo avrebbe lavorato contro. La Spagna, quella Spagna, lasciò una interpretazione difficilmente riproducibile, un calcio bello da vedere: universalmente applaudito. Oggi è finito il tempo del tiki taka, non quello dei successi spagnoli in Champions.

Invece della Germania, costruita sul super portiere (Neuer) e tanti talenti fino allo scintillante Thomas Mueller, si disse che avrebbe fatto scuola perché nata dalla rifondazione del calcio tedesco, dalla grande organizzazione e dalla potenza economica. Fu un abbaglio a veder com'è finita. Il calcio tedesco tracciò la linea vincendo l'europeo e poi il mondiale (come la Spagna), ci lasciò l'illusione che bastasse organizzarsi meglio e credere nei vivai. Fu il trionfo di un calcio multietnico che la Francia ha sviluppato. Oggi guardiamo alla nouvelle vague dei galletti con ammirazione e speranza: chissà che la beata gioventù non duri più di un quadriennio. Chissà che Pogba, M'Bappè e quel gruppo che vola tra i 19 anni dell'inafferrabile talento del Paris Saint Germain e i 27 del Petit diable Griezmann non ci raccontino un calcio di qualità meglio annaffiato. Oggi abbiamo lasciato dei Principi, fra quattro anni scopriremo se qualcuno è diventato Re.

O se la maledizione del mondiale non molla mai.

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