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"Squadre babele di lingue. E così le big vanno in tilt"

Il patron del Sassuolo, Giorgio Squinzi: "Ho la mia teoria sulla strana classifica di A. Troppi stranieri e molti non capiscono cosa gli chiede l'allenatore"

"Squadre babele di lingue. E così le big vanno in tilt"

Caro Squinzi, ma davvero pensa che il suo Sassuolo sia da scudetto, come ha detto qualche giorno fa?

«Era un battuta da tifoso, invece mi hanno preso sul serio. Non credo che la squadra sia in grado di vincere il campionato, ma che possa arrivare in Europa League sì, ci conto, magari anche più in alto se serve a superare l'Inter. Mi piacerebbe da vecchio milanista».

Vuole dire classificarsi fra le prime cinque.

«La squadra è solida, compatta, ha buoni calciatori, un ottimo allenatore e dovunque gioca per vincere. Qualche volta ci riesce, qualche altra no. Intanto è cambiata la mentalità, e quella non si acquista al mercato, ma si ottiene con il duro lavoro. Il Sassuolo c'è e non ha ancora perso una partita. E poi è un anno molto particolare con le grandi che non hanno continuità. E noi, che siamo cresciuti sotto tanti aspetti, dobbiamo approfittarne».

S'è chiesto perché la classifica è così sorprendente?

«Io ho un'idea o meglio un sospetto. Il modello della squadra-mosaico, fatta di tanti stranieri, non è più pagante. Guardi cosa succede in Inghilterra dove la gran parte dei calciatori proviene dai paesi più svariati. Il Sassuolo ha pochi stranieri e quei pochi parlano un buon italiano, soprattutto capiscono cosa pretende Di Francesco. In caso contrario, mi dica lei che allenamenti sarebbero, una farsa».

A suo tempo mandaste via Di Francesco salvo riprenderlo dopo 5 ko di fila...

«Con tutto il rispetto per Malesani, ottima persona, fu una sciocchezza. Mai farsi trascinare dalle cattive abitudini del calcio».

Non è che il calcio ha soppiantato il ciclismo nel suo cuore?

«Il cuore rimane sempre con il ciclismo, in cui per 8 anni siamo stati i primi del mondo. Ma i tempi cambiano. E oggi la mia azienda, presente in 70 paesi con 9mila dipendenti e 2,5 miliardi di fatturato, ha indirizzato il suo marketing in altre direzioni. C'è Mapei sulle maglie, è intitolato a Mapei lo stadio di proprietà a Reggio Emilia. Ma le due ruote rappresentano il primo amore che non si scorda mai».

I ciclisti più amati?

«Ballerini e Bettini, sopra tutti. Poi Tafi con il quale mi sono visto l'altro giorno, uno di famiglia».

A proposito di famiglia. Sua moglie Adriana, che guida il marketing, è convinta di spendere tanti soldi nel pallone?

«Le dico solo che gli investimenti arrivano dal suo budget».

A quanto ammontano?

«L'ultimo esercizio s'è chiuso in pareggio grazie alle plusvalenze di Zaza e Pavoletti. Nel complesso le uscite sono state di alcune decine di milioni. E il monte ingaggi è inferiore ai 30 milioni, molto meno di tanti altri club».

Un giorno Mapei rientrerà nel ciclismo?

«Può essere, chissà. Ma non possiamo fare confusione in termini di comunicazione. Se il ciclismo ha portato il nostro marchio in tutto il mondo, il calcio non è da meno, specie in Asia. Del Sassuolo si parla tanto fuori d'Italia».

E chi sono i suoi calciatori preferiti?

«Ne stimo tantissimi. Magnanelli e Cannavaro sono splendide persone, non solo buonissimi giocatori. Con Defrel e Duncan abbiamo preso due numeri uno. Il migliore è Berardi, il calciatore italiano di maggior talento. Un ragazzo a postissimo, un po' chiuso, timido, ma forte dentro, ben lontano dagli stereotipi dei colleghi che vanno a caccia di veline. Vedrete che reggerà l'urto della notorietà».

Berardi resterà al Sassuolo o seguirà Zaza alla Juventus?

«A fine stagione la Juventus può esercitare la prelazione, se vuole è suo, ha il diritto di portarselo via. Ma ad una cifra superiore a 25 milioni. Altrimenti vestirà ancora la nostra bella maglia».

Il Sassuolo non è una favola, è una realtà.

E poi, come scriveva Pascoli: "Il Sogno è l'infinita ombra del Vero".

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