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Il Super Bowl è uno scontro generazionale

L'edizione numero 50 da record: 5 milioni di dollari per 30 secondi di pubblicità

Roberto GottaGira e rigira, si parla sempre dei quarterback, prima di un Super Bowl. Accade quando i due leader delle squadre non rappresentano altro che se stessi e le proprie speranze, figuriamoci quando portano con sé valori e significati molto maggiori. Quello dei Denver Broncos, Peyton Manning, va per i 40 anni, è al quarto Super Bowl e cerca la seconda vittoria dopo quella di nove anni fa. Intelligente come pochi nel capire il gioco, rappresenta la tipologia tradizionale di quarterback, quello che con il suo braccio comanda le operazioni e corre con la palla solo se è costretto, e con efficacia ancor più minata dal passare del tempo e il crescere degli acciacchi. Il suo avversario dei Carolina Panthers, Cam Newton, di anni ne ha 26, è afroamericano, ha un fisico roccioso e oltre ad essere migliorato come lanciatore puro del pallone è anche pericolosissimo quando decide di portarlo personalmente, dando quindi al proprio attacco una dimensione unica e di difficile interpretazione anche per una difesa molto forte come quella dei Broncos. Newton, inoltre, sprizza gioia da tutti i pori, in campo: balla, regala palloni ai bambini, festeggia con il gesto detto dab, ovvero un braccio teso all'indietro e l'altro piegato avanti a sé, con la testa infilata nella piega del gomito, pratica copiata in giro per il mondo da, ad esempio, Paul Pogba e Jesse Lingard. E questo ad alcuni non piace, senza un motivo razionale. Newton tra l'altro vive di queste espressioni di felicità estemporanea ma porta ancora al polso, per ricordare il pericolo scampato, il braccialetto che gli avevano sistemato al pronto soccorso una mattina di dicembre del 2014 in cui ebbe un grave incidente stradale dal quale uscì praticamente illeso. Ogni Super Bowl ha i medesimi contenitori ma contenuti differenti, e questa volta le storie parallele ma molto differenti di Manning e Newton occupano parte della narrazione, lasciando però spazio a situazioni al limite dell'incredibile come quella di Thomas Davis, il linebacker di Carolina che giocherà nonostante la frattura all'avambraccio riportata quindici giorni fa. Vero che Davis è uno che è riuscito a proseguire una carriera nonostante 3 rotture del legamento crociato anteriore del ginocchio destro, ma lì c'era stato più tempo per recuperare.

Tutto questo in una San Francisco che ha accolto con grandi folle di curiosi il Super Bowl numero 50 della storia (diretta su Fox Sports dalle 23), che però si gioca a quasi 70 chilometri dalla città, nel nuovo stadio di Santa Clara, ecologico e innovativo come piace da queste parti, a un passo dalla Silicon Valley di tecnologica fama: colori nero e oro dappertutto, quelli del mezzo secolo di partita (con numeri clamorosi: 5 milioni per 30 secondi di pubblicità, giro d'affari da oltre seicento milioni), e presenza dominante di tifosi delle squadre locali, San Francisco 49ers e Oakland Raiders, fino all'arrivo in massa dei fan delle due finaliste, forse più numerosi quelli dei Broncos che ce la possono fare con un tragitto in auto nemmeno esagerato per le abitudini americane.

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