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SuperG austriaco e supertoppata azzurra

Paris e Marsaglia pari merito al 14° posto. Miller che volo: mette paura ai bimbi

SuperG austriaco e supertoppata azzurra

La buriana si è calmata è ha lasciato in eredità solo qualche folata di vento. Vail si sveglia col sole, pochi gradi sotto zero e la Birds of pray risplende di neve dura, non ghiacciata, ma aggressiva. É il giorno dei grandi ritorni e dei primi uomini jet. Vada come vada l'ouverture iridata maschile avrà due tipi di vincitori. Quelli che finiranno sul podio e quelli morali come Svindal e Miller, al rientro in gara dopo la rottura del tendine d'Achille, il norvegese, e un'operazione alla schiena l'americano. Fra gli apripista e il francese Roger Brice che apre le danze, corre solo il vento nel minuto di silenzio per ricordare i due atleti Usa uccisi da una valanga a Soelden.

Poi è gara ma non sarà azzurra: non basta un curioso ex aequo in 14sima posizione fra Matteo Marsaglia e Dominik Paris appaiati dal mugugno a 89/100. Marsaglia ama questa pista, dove ha già vinto ma non convince. Paris parte come un torero, ma stavolta è la pista a domare lui che quest'anno non era mai andato oltre il quinto posto. «Dalla seconda porta sono sempre finito lungo». Simile diagnosi per Christof Innerhofer, 18simo: «Non ho trovato feeling». Gli azzurri sfilano dando appuntamento alla rivincita di domani in discesa. La gara parla austriaco, canadese e francese. E beffa altri due superfavoriti: Kjetil Jansrud e Matthias Mayer sono quarti appaiati a 3/100 dal podio dove invece salgono due sorprese e una conferma. Bronzo a 24/100 ad Adrien Theaux, il francese che proprio qui nel 2010 aveva centrato il primo podio in una carriera, poi costellata anche da molta sfortuna con due gare annullate per vento mentre era al comando. Grande sorpresa per il 2° posto, a 11/100 del canadese Dustin Cook, non ancora tra i famosi.

Vittoria e rivincita di un paese intero è quella di Hannes Reichelt che del wunder team è il marcantonio più sorridente. Ma la “birds” fa spazio anche ad altri perché affacciarsi alla sua voragine infernale, anzi dantesca, è cosa da far “tremare vene e polsi”. Non a Svindal, sesto a 37/100 dall'oro sulla pista in cui la sua vita è già stata una volta appesa ad un filo. Nel 2007 rischiò di morire, l'anno dopo rivinse ed ora risorge. Lui si butta a terra poi cerca lo sguardo ferito dell'altro grande “highlander”: Bode Miller che se ne sta con una fasciatura sopra la tuta a bloccare il sangue di un taglio profondo al polpaccio e, forse, all'anima. La sua era una buona gara, davanti agli occhi di Morgan in dolce attesa, “Nat” e Daisy. La bimba si copre il volto, le manine pittate da sciantosa, quando papà va in testa coda. Senza errori se non la foga di un braccio che si infila in una porta. Miller sbatte, fa una capriola. Poi quasi a tranquillizzare i bimbi scende come sul bob, sedere a terra. Solo 10 anni fa, dopo una caduta, fece la pista dei mondiali di Bormio su una gamba. Ma ora i bimbi che lo aspettano sono tre. E domani forse la discesa, l'ultima grande battaglia.

Davanti al suo pubblico.

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