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Talento, etica, fedeltà. Auguri Paolino

Maldini, di padre in figlio eterna bandiera rossonera. L'Equipe: "Icona del calcio"

Talento, etica, fedeltà. Auguri Paolino

Quel giorno, 26 giugno 1968, Papa Paolo VI annunciò il ritrovamento delle spoglie di San Pietro. E, invece, papà Cesare annunciò la nascita di Paolino. Non sempre il destino ti dice: accade per caso. Un Papa e un papà ci raccontarono storie che sarebbero rimaste nella testa, nel ricordo e nel cuore di tutti. Paolino oggi è un brillante cinquantenne: sembra ancora un ragazzone, meglio un atleta perché la pancia non è contemplata e il tennis è lo sport dei desideri segreti, circondato da una bella tribù, con la possibilità di dire a pieni polmoni che la vita è bella e la sua ha scavallato al di là dei sogni, che pur non mancano. Paolino è Maldini come ci ha insegnato a conoscerlo papà Cesare. Ma anche «Paolinooo!», da quando Teo Teocoli ne ha fatto un grido di battaglia.

Paolino ci ha regalato l'inestimabile dono dell'indimenticabile: lui, la famiglia, le storie di calcio, l'amore per il Milan, la capacità nel far gioire e soffrire, la bellezza estetica del gesto agonistico. Nel nostro calcio di eterni guelfi e ghibellini è stato giocatore, avversario da rispettare sempre. Anche se un certo pubblico di San Siro se n'è dimenticato nell'atto finale della carriera. Paolo, tifosi dissacranti a parte, è ancora sinonimo del marchio di qualità: umana e calcistica. I francesi, non proprio nostri ammiratori, lo riassunsero così sulle pagine de L'Equipe: «Icona del calcio per senso della morale, del dovere, della fedeltà e dell'etica». Del resto 25 anni di successi delineano una storia, pur con il magone di aver vinto nulla con la nazionale, nonostante 4 mondiali e 3 europei.

Tutto è racchiuso in quel passaggio di consegne: da «figlio di Cesare» come lo raccontò Liedholm quando lo fece esordire, a Cesare «papà di Paolo» quando diventò un grande giocatore. Pallone e vita avevano assegnato i ruoli. Impossibile non metter insieme due foto che nessun tempo potrà corrodere: Cesare Maldini con la coppa dei Campioni levata in alto, la fascia di capitano al braccio, Nereo Rocco al fianco dopo l'impresa di Wembley, e suo figlio, 40 anni dopo a Manchester, con la Champions fra le mani, fascia sul braccio e i sorridenti occhioni chiari e rotondi, altro simbolo di famiglia. Storia del Milan e narrazione di una famiglia: tutt'uno. Sarà un caso se la parola Milan è tutta contenuta in Maldini? Paolo era un ragazzino di 16 anni, schivo, parole come gocce, fisico che già si stagliava verso l'alto, stopper o terzino ancora non definito, quando Liedholm decise di provarlo a Cassano D'Adda in una amichevole di settembre in onore di Valentino Mazzola: la domenica il Milan avrebbe giocato contro la Cremonese. Cesare stava appoggiato ad un muretto e osservava. Nei giorni seguenti Nils ci ripensò.

In realtà, raccontò il Barone, voleva solo scatenare l'interesse dei giornalisti. Poi, nel gennaio 1985 a Udine, giornata fredda, neve a far compagnia, Paolino cominciò davvero la carriera. Liedholm lo benedì con parole mai cancellate: «Ricordati che il calcio è un gioco: vai in campo e divertiti». Invece, a Cassano D'Adda nel 1994, Paolo si sposò con Adriana.

Ronaldo, il brasiliano, assicura che Maldini sia stato il muro più difficile da scalare. Invece Maradona è stato l'avversario più duro per Paolo, che da piccolo chiedeva i risultati della Juve: forse per merito di un gagliardetto regalato da Boniperti. Gli piaceva Bettega, voleva diventare un'ala sinistra, ma il cuore diceva Milan. Così è stato fino a questi 50 anni, ancora immerso nell'effervescenza milanese e ancorato alla fede rossonera, convinto che davanti a noi stiano cose migliori di quelle che ci siamo lasciati alle spalle.

Ma, forse, per la sua storia nel Milan farà un'eccezione.

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