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Torna Brescia-Atalanta. Furti, fughe e invasioni: che sfida dal Medioevo

Non solo la corsa di Mazzone: una partita unicaper una rivalità vissuta anche nei concerti rock

Torna Brescia-Atalanta. Furti, fughe e invasioni: che sfida dal Medioevo

Un uomo anziano e massiccio in fuga, solo al comando nel suo furore. Lo rincorrono vanamente in tre, ma lui pare Jonah Lomu dei tempi belli. Inarrestabile. Il picco della rivalità tra Brescia e Atalanta (nell'ordine di gioco) è in quel video incredibile. È il 30 settembre del 2001, domenica, quando «l'estate finiva più nature» avrebbe cantato Francesco Guccini. Lo stadio ribolle, l'Atalanta è sopra 3-1 fuori casa e i 4.000 nerazzurri cominciano a insultare in modo pesante l'allenatore del Brescia Carlo Mazzone, i suoi genitori e Roma, intesa come città. Al 2-3, i gol li fa tutti Roberto Baggio, Mazzone annuncia alla panchina ma rivolto ai bergamaschi: «Se famo 3-3, vengo sotto la curva». Mazzone ha fama di mantenere le promesse, ma nessuno è preparato a quello che accade. Al 3-3, una beffarda punizione del Codino (47' s.t.), Mazzone scatta. Il dirigente accompagnatore Cesare Zanibelli tenta il placcaggio, ma viene spazzato via, il vice Leonardo Menichini e l'addetto stampa (ora se non li chiami press officer, ti querelano) Edo Piovani vengono trascinati fin sotto la curva. «Colpa del mio gemello» dirà Mazzone e, pur suscitando molta simpatia, avrà cinque giornate di squalifica e, al ritorno, a Bergamo, un'accoglienza da paura.

Il derby Brescia-Atalanta torna dopo tredici anni, è una partita da bollino rosso ma questa volta i tifosi, più che avercela tra di loro, ce l'hanno con i Daspo (atalantini, niente trasferta) e caro biglietti (bresciani, sciopero del tifo). Forse, fuori, sarà un derby meno caldo del solito. Comunque l'accesa (eufemismo) rivalità resta e c'è chi la fa risalire al Medioevo. Allora fu una questione di terre, ma i contendenti moderni citano il furto di uno striscione, reato gravissimo per la legge ultrà, da parte degli atalantini nel derby del maggio 1993, con controfurto e condimento di scontri. La teoria di insulti, botte e guerriglia non si è più fermata, tra arresti, lacrimogeni e agenti feriti. I bergamaschi chiamano i bresciani sunì, maiali e i bresciani replicano con conéc, conigli. Li hanno persino portati allo stadio, un maiale con la maglia del Brescia, i conigli con quella dell'Atalanta. Hanno riscritto cartelli autostradali, hanno costretto allenatori alla fuga: Fabio Gallo, reo di aver dichiarato a Bergamo «finalmente dei tifosi veri», dovette rinunciare ad affiancare Giampaolo a Brescia. La querelle va oltre il calcio. Il gruppo rock bergamasco dei Verdena, per invitare i bresciani al loro concerto, nel 2015, scrisse: «Non fate i sunì». Il tifo non c'entrava, ma il post scatenò il tumulto.

Il problema è che da una parte e dall'altra il carattere bellicoso non manca. Brescia è la Leonessa d'Italia per i suoi 10 giorni di resistenza agli austriaci nel 1849; Bergamo la Città dei Mille (imprimatur di Peppino Garibaldi) per il suo apporto all'impresa delle camicie rosse.

San Filippo Neri, a questo punto, direbbe: «State buoni, se potete».

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