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Torna la coppetta al gelo nel deserto

Napoli-Spezia apre gli ottavi. Un torneo che dà fastidio alle big e non piace al pubblico

Torna la coppetta al gelo nel deserto

Gennaio è (anche) il mese della coppa Italia che dopo cinque mesi entra nel vivo col debutto delle «big». È ormai il nono anno di seguito che le prime otto teste di serie iniziano la competizione dagli ottavi e così sarà almeno fino all'anno prossimo: si tratta di una formula imposta dall'organizzatore (la Lega di Serie A) e gradita alla Rai, che per il triennio 2015-18 sborsa 67 milioni, per tutelare in ogni modo possibile le squadre più forti e avere incontri di cartello nei quarti, nelle semifinali e in finale.

Facendo un confronto con le principali coppe nazionali europee, gli squadroni di casa nostra sono quelli che devono giocare meno partite per arrivare alla finale; inoltre hanno il privilegio di giocare i turni secchi in casa (cioè tutti, a parte l'assurda eccezione delle semifinali) e se si chiamano Roma o Lazio in teoria possono anche arrivare all'ultimo atto spostandosi una sola volta da casa, visto che dal 2008 la finale si disputa invariabilmente all'Olimpico.

Una formula del genere potrà anche favorire gli indici d'ascolto televisivi, ma dà il colpo di grazia alla presenza del pubblico sugli spalti. Stasera al San Paolo ci saranno pochi intimi, mentre se la partita si fosse giocata a La Spezia avrebbe fatto registrare il tutto esaurito. Ha davvero senso tutto questo? Finora la media spettatori per partita è stata di 3.750: la metà rispetto alla FA Cup inglese, un terzo rispetto alla coppa del Re di Spagna, un quinto rispetto alla coppa di Germania. Stadi ghiacciati, perché le coppe europee lasciano solo questa finestra invernale alle coppe nazionali, e desolatamente vuoti.

Eppure la coppa Italia fa comunque gola. Innanzitutto perché apre uno spiraglio di vittoria a chi non può competere per lo scudetto, specialmente da quando le coppe europee sono diventate quasi inaccessibili per i club italiani. È una competizione più democratica: se negli ultimi 15 anni la Serie A ha avuto solo tre vincitori (le solite Juve, Inter e Milan), la coppa Italia ha regalato un'apoteosi surrogata anche a Parma, Lazio, Roma e Napoli. E poi c'è pure il discorso dei quattrini, che non saranno quelli della Champions League ma di questi tempi non si butta via niente.

Chi vince il trofeo si porta a casa un premio di 2,5 milioni di euro; la finalista perdente invece ne guadagna 1,4 e tutte e due si spartiscono l'incasso della finale (unica partita da tutto esaurito nonostante i biglietti vengano venduti a peso d'oro) nella misura di un 45% a testa. E poi ci sono i bonus che vincere la coppa comporta: accesso alla finale di Supercoppa, con relativa spartizione dell'incasso e dell'ingaggio in caso di disputa all'estero, e accesso alla fase a gironi dell'Europa League. Che significa altri 2,6 milioni di gettone, più almeno altri 6 di cosiddetto «market pool», più 360mila euro a vittoria e 120mila a pareggio: tutto compreso, un filotto da una quindicina di milioni circa.

Ma siccome questi soldi non finiscono nelle nostre tasche quello che più ci interessa sono le storie che questa coppa potrà raccontare. Sarà la decima della Roma, magari con tanto di festa d'addio per Totti, o continuerà anche qui la dittatura della Juve? Tornerà a vincere Milano? Ci saranno, come l'anno scorso, imprese tipo quelle dello Spezia o dell'Alessandria a scompaginare i piani dei potenti? C'è tempo per saperlo.

Nel frattempo la coppa Italia è anche l'occasione per scoprire nuovi acquisti e oggetti misteriosi: da Pavoletti e Rog a Rincon e Gabigol, questa è la volta buona per vederli all'opera.

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