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Ma Valentino non è Dottore né Fenomeno. È un Principe antico che unisce l'Italia

"Ferito" come Garibaldi, con le sue imprese riesce a spronare l'intero Paese

Ma Valentino non è Dottore né Fenomeno. È un Principe antico che unisce l'Italia

Valentino Rossi non è un Dottore né un fenomeno: parola spregevole che rimanda al baraccone. È il Principino d'Italia. Non solo per le vittorie ottenute in moto. E neppure per i quindici giorni circa (dalla corrida infernale dell'estate all'equinozio d'autunno presieduto da San Michele Arcangelo) che gli sono bastati per tornate a cavallo dopo la doppia frattura di perone e tibia, per giunta messa in dubbio dalla solita falange di inermi e invidiosi che, seppur italiani, disprezza insieme a molti altri eserciti il talento puro. Va aggiunto che Il Dottore con i fiocchi, che fa onore alle eccellenze della nostra medicina, è il chirurgo Raffaele Pascarella che lo ha operato. Come non si deve dimenticare che Valentino ha mostrato, come un ragazzino dell'asilo, il buco all'altezza del ginocchio da dove è entrato il chiodo, a quella massa di ignavi che Dante provvede bene a sistemare in compagnia di vermi e mosconi.

Valentino non ha fatto come Garibaldi che, a Teano, consegna al Re Sabaudo Vittorio Emanuele II l'Italia per ragioni sulle quali la storia continua a interrogarsi. Rossi l'Italia l'ha rilanciata - dall'assenza di Misano a ieri a Aragon - agli stessi italiani staccando dalla M1 lo scaramantico 46 per scriverci su: W il talento!, W il lavoro!, W la tenacia!, W i sacrifici!, W la giovinezza!

Il ragazzo - duro come un marchigiano e levantino quanto un romagnolo - con le ossa e il cranio da uccelletto ci ha riportato (nessun raffronto eroico, sia chiaro) a Enrico Toti che, rimasto solo nella trincea contro gli austriaci, prima di morire gli lancia contro la stampella. Quel Toti che in guerra non ci doveva proprio stare perché privo di una gamba ma che si arruola per forza come irregolare. Ripeto: nessun confronto se non suggestioni. E comunque Valentino Rossi, in queste tre settimane, nel suo piccolo, pare abbia risaldato l'Italia. È per questo che mi ha riproposto la figura di Cesare Borgia, figlio di papa Alessandro che il Machiavelli eternò ne Il principe.

Intanto astrologicamente la coppia è perfetta. Tanto da deviare in positivo i destini della Nazione se, trentenni entrambi, si fossero conosciuti un po' prima. Il Valentino è Vergine, come mi suggerisce il mio oroscopista Simon & Stars, dunque: logico e stratega. Il centauro Rossi è Acquario, dunque: leggero e inafferrabile. Cesare diventa Duca di Valentinois; Rossi è il Tenutario dell'Enclave Pesaro-Urbino con capitale Tavullia. L'uno e l'altro hanno l'ambizione di conquista. Possiedono un progetto, una visione. Ci si buttano dentro senza farsi illusioni, forti della conoscenza della realtà, così allenati al combattimento e al corpo a corpo. Cesare Borgia, con secoli in anticipo sull'Unità del nostro Paese, ebbe il coraggio di provare a fare l'Italia Nazione. La scalata si arrestò al centro settentrione. Valentino Rossi non lo dice ma vuole, fortissimamente vuole il decimo titolo (e l'avrà con slancio e con amore).

Per entrambi Pesaro fu il centro gravitazionale. E tutti e due furono traditi. Cesare fu soddisfatto quando fece avvelenare Oliverotto da Fermo e strangolare Vitellozzo Vitelli. Ieri, a Aragon, c'è mancato poco che anche Valentino sistemasse i due nani traditori che gli rubarono il mondiale del 2015. Li stava per infilzare, anche se uno corre con l'adorata rossa Ducati. Valentino è arrivato quinto. L'ha fatto apposta. Non ha voluto vincere né stravincere. Gli è bastato spronare l'Italia. Spero non soltanto sportiva.

Se Cesare Borgia è stato Principe in vita e in lode letteraria e politica, Valentino Rossi è l'unico Principe che abbiamo vivo e scattante, modellato con lo stesso fango degli antichi italiani.

Che Dio lo benedica.

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