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"Vincere aiuta a vincere. E sto meglio che nel 2014"

Parla Nibali, il trionfatore dell'ultimo Tour che scatta sabato prossimo dall'Olanda: "Temo Quintana perché lo conosco poco. Ma anche lui non conosce me"

"Vincere aiuta a vincere. E sto meglio che nel 2014"

S. Vittore Olona - Prima dell'Aspin, del Tourmalet o dell'Alpe d'Huez, Vincenzo Nibali pensa a Superga. Da lì, da quel colle che s'innalza su Torino, parte l'assalto al Tour de France, che ufficialmente scatterà con una cronometro da Utrecht, in Olanda, sabato prossimo. Pensa all'Italia e all'italiano, Vincenzo Nibali, ma guarda anche oltre i confini. È un po' teso il siciliano, o almeno così appare a prima vista. Lo incontriamo al Poli hotel di San Vittore Olona alle porte di Milano, dove l'Astana ha fissato il proprio "buen retiro" alla vigilia della sfida tricolore che vale la maglia di campione d'Italia. «Se ci tengo a riconfermarmi campione d'Italia? Certo, altrimenti non sarei qui - dice secco il corridore siciliano, che questa mattina si schiererà al via di Legnano, da dove partirà la sfida tricolore, per giungere a Superga (doppia scalata del colle), dove sarà posto il traguardo -. Questa maglia mi è sempre piaciuta. Ho vinto un titolo italiano da juniores e ricordo ancora la gioia che provai quel giorno ad Asolo. E anche un anno fa, a Fondo, in Trentino, quella vittoria la vissi come una vera e propria liberazione. Un anno fa andò molto bene: prima vittoria stagionale agli assoluti e poi tutti voi sapete cosa sono riuscito a fare in Francia…».

E se oggi non dovesse andare allo stesso modo…

«Il ciclismo non è solo una questione di cabala, ma certo che vincere mi aiuterebbe a vincere. Quest'anno sono ancora all'asciutto e chi mi conosce sa che non vincere per un lungo periodo non mi piace neanche un po' (ultimo successo al Tour, 24 luglio, Hautacam, ndr). Io quando sono in corsa e mi spillo il numero sulla schiena vorrei sempre passare la linea bianca per primo, ma non sempre le cose vanno come vorresti. Slongo, il mio preparatore, è molto fiducioso. Mi ripete che la condizione è migliore di quella di un anno fa, ma un conto sono i numeri e i risultati delle tabelle, un altro sono le sensazioni che si hanno: ecco, io domani (oggi per chi legge, ndr) vorrei tanto sentire dentro di me dei segnali positivi, anche se non arrivasse la vittoria».

Dopo il Tour, c'è stato un momento in cui ti sei detto: ma chi me l'ha fatto fare?

«La situazione attorno a me è cambiata, sia nelle corse che nella vita di tutti i giorni. In corsa sei un osservato speciale. Nella vita di tutti i giorni la tua privacy è un po' andata a farsi benedire. Ma nel complesso va bene così».

Corri per un team kazako, al quale della maglia tricolore interessa poco più di niente. Se fosse per loro neanche ti farebbero correre.

«Ma io corro e voglio regalare a loro l'ennesimo dispiacere, come un anno fa. A parte gli scherzi, io li capisco anche. L'Astana è una squadra-nazione, rappresenta il Kazakistan e loro vorrebbero vedere sulle strade del Tour il loro color azzurro emergere su tutto. Ma io quella bella fascia tricolore su sfondo azzurro la trovo comunque bellissima…».

Chi sono gli uomini che temi di più per la corsa al tricolore?

«Formolo: è giovane ed è arrivato secondo un anno fa. Pozzovivo: è esperto e in salita va forte. Ulissi: è maturo e va forte sia in salita che in un eventuale arrivo allo sprint a ranghi ristretti. Santaromita: può essere la sorpresa. Scarponi: è un mio compagno di squadra, e va davvero forte anche lui».

Ti sei dato una spiegazione sul perché non sei riuscito ancora a vincere?

«La preparazione era volta principalmente al Tour, e per questa ragione non ho mai raggiunto una condizione ottimale. E poi ho trascorso un inverno molto difficile, pieno di impegni. Un buon recupero, soprattutto mentale, non l'ho mai fatto».

Sai però che l'Italia intera ti aspetta al Tour…

«Lo so, ma il primo a voler andare forte in Francia sono io. In ogni caso sto vivendo questa vigilia con grande serenità e senza particolari ossessioni. Quintana, Froome e Contador, sono i principali pretendenti. Occhio però anche a Joquin Rodriguez. È un Tour apertissimo, con una prima settimana pericolosa e complicata: chi esce vivo da lì, può ambire a qualcosa d'importante. Ma come ti ho detto vado in Olanda sereno e consapevole d'aver fatto tutto quello che era umanamente possibile per preparare una corsa così importante. Per me il Tour è gioia, ma non vuole essere e non deve essere un ossessione».

Un nome su tutti.

«Nairo Quintana. Va fortissimo in salita ed è quello che conosco meno. E tutto ciò che non si conosce fa paura».

Cosa ti conforta?

«Che anche lui mi conosce pochissimo».

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