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Il volo di LeBron James regala a Cleveland un anello da leggenda

Roberto Gotta

Anche se stiamo parlando di uno dei più grandi di ogni sport, è stato doloroso veder giocare LeBron James in tutti questi anni, ormai 13 da quando passò professionista nel giugno del 2003 saltando dal liceo direttamente alla Nba, fino al terzo titolo conquistato nella notte tra domenica e lunedì, con la vittoria di Cleveland per 93-89 sul campo dei Golden State Warriors in gara7.

Doloroso a meno che non si facesse l'impossibile, ovvero lo si guardasse con il paraocchi e soprattutto il paraorecchie, senza ascoltare e senza vedere i giudizi altrui. E allora ecco che la carriera di LeBron è continuamente frastagliata: elogi, critiche, esagerazioni in un senso e nell'altro, frecciatine, messaggi trasversali, frasi taglienti e spot pubblicitari. La sua figura ha ridato slancio a una Nba che perso Michael Jordan si stava godendo Kobe Bryant nella speranza intanto in qualcun altro che portasse avanti la figura-icona di giocatore fuori dal comune in grado di trascinare al titolo la propria squadra. Solo che Jordan e Kobe ci erano riusciti con quella in cui avevano giocato fin dal primo giorno, mentre LeBron ha percorso una via diversa dopo sette anni di inutili tentativi con Cleveland - per nascita, molto più sua di quanto Chicago non fosse stata per MJ e Los Angeles per Kobe - e nell'estate del 2010, organizzando un'intervista televisiva per annunciare la decisione di accettare l'offerta dei Miami Heat, aveva come spezzato il filo ideale e preso una deviazione tutta sua, prevalentemente criticata dai più che lo avevano visto come seduttore e traditore verso chi aveva visto in lui un salvatore. Per questo motivo i due titoli Nba conquistati - su quattro finali - con la squadra della Florida non erano stati, secondo molti, la conferma della sua grandezza ma la certificazione del suo egoismo, della sua necessità di appoggiarsi ad altri, come Dwyane Wade e Ray Allen. Il ritorno a Cleveland nell'estate del 2014 aveva per paradosso aumentato la dose di cinismo altrui: più che pensare a un LeBron tornato in sé molti lo avevano visto come un egoista che voleva farsi ri-accettare a tutti i costi, illusioni di titolo comprese. Sfiorato lo scorso anno contro Golden State, quinta finale consecutiva per James, è arrivato ora, nelle circostanze più improbabili dopo che i Warriors, magnifici dominatori della regular season, erano andati avanti per 3-1. Giocando ogni volta con la pressione dell'ultima spiaggia, James ha avuto cifre irreali e la saldezza di imprimerle in momenti importanti: l'ultimo, stoppando Andre Iguodala sull'89-89 con una prodezza atletica da poster.

Alla fine, LeBron è risultato il primo giocatore nella storia dei playoff Nba a chiudere al primo posto in punti, rimbalzi, palle recuperate, assist e stoppate in una intera serie, e con lui Cleveland è la prima squadra a recuperare dall'1-3, anche se solo la quarta a vincere gara7 in trasferta.

Ora, veder giocare James sarà doloroso solo per chi non riesce ad accettare il fatto che sta realizzando tutto quello che aveva promesso.

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