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Zdenek il muto che parla col cianuro Fuggiasco da Praga, icona a Zemanlandia

A 70 anni Zeman è ancora in panchina, ma sempre costretto a recitare da mito

Zdenek il muto che parla col cianuro Fuggiasco da Praga, icona a Zemanlandia

La leggenda compie settant'anni. Chi altro è o potrebbe essere leggenda se non Zdenek Zeman? La leggenda è un racconto in cui fatti e personaggi risultano amplificati e alterati dalla fantasia e dalla tradizione, in una duplice esigenza di esaltazione e di esemplarità. Zeman questo è stato e continua ad essere, un grande allenatore, nel senso etimologico dunque colui che sa preparare fisicamente e tecnicamente un atleta alla prestazione. Non certo un grande esperto di football cosiddetto moderno, che non può prescindere dall'organizzazione difensiva. Il pallone è una cosa, il calcio un'altra. Ma per Zeman la differenza non esiste e non deve esistere. Il football è un gioco, diventato perverso, diabolico per colpa dei denari e dell'uso di sostanze proibite. Con queste parole, in un'intervista rilasciata a Gianni Perrelli per l'Espresso nel '98, scoppiò il finimondo. Zeman prese a bersaglio il sistema, indicando come esempio i calciatori della Juventus.

Lui, juventino di fede antica, aveva deciso di passare all'opposizione, come il suo modello di adolescenza, Anton Malatinsky, leggendario (sul serio) tecnico dello Spartak Trnava, che si oppose al regime comunista aiutando ad espatriare alcuni dissidenti e venne ingabbiato. Quella squadra giocava un football ginnico, vinceva in patria qualunque sfida e quando la prese in mano Jan Hucko arrivò alla semifinale di coppa dei Campioni nel '69, battendo 2-0 in casa l'Ajax e dovendo arrendersi 3-0 nel ritorno ai numeri di Cruyff. Praga non era libera, Zeman in quel tempo si era trasferito in Italia dallo zio materno Cestmir Vycpalek. Costui era stato il primo straniero della Juventus nel dopo guerra, fuggito al regime comunista. Trasferì la passione al nipote, da lui stesso chiamato 'u mutu; Zdenek, abituato ai silenzi del regime, preferiva, infatti, profferire rarissime parole. A parte le gocce di cianuro versate sugli avversari, da Mourinho «un grandissimo comunicatore che nasconde bene la propria mediocrità come allenatore», alla Juventus. Con la quale il sospeso nasce all'arrivo di Giraudo&Moggi che tagliarono un vitalizio multimilionario allo zio Cesto.

Zeman ha guidato quindici squadre, tra Italia, Turchia, Jugoslavia e Svizzera, ha pagato con molti esoneri, ha cercato di insegnare un football trasformato in leggenda dagli zemaniani fino a coniare il fascinoso Zemanlandia. Cosa che non ha fatto certo del bene al titolare, costretto a recitare sempre la parte dell'icona, a volte irritante ma sempre di un'intelligenza astuta. L'anno scorso con il Lugano la squadra si salvò appena dalla retrocessione. Lo stesso Lugano, trasferito nella guida di Paolo Tramezzani, è ora in zona Europa League mentre Zeman scivola in serie B con il Pescara. Ma questo non cambia la sostanza. Dalla primavera di Praga alle settanta primavere di un professore di educazione fisica che continua a sognare di essere un grande allenatore.

Comunque onore al merito.

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