Roma

Spunta Goya nelle tele di Scialoja

Tommaso Casini

Il pubblico dell’Auditorium, oltre alla musica, secondo un progetto in costante evoluzione, può incontrare l’arte contemporanea. Dopo le esposizioni dedicate a Matta, Burri e Gastone Novelli, il Foyer Sinopoli del Parco della Musica accoglie, fino al 18 novembre, un omaggio del tutto inedito a Toti Scialoja, uno dei grandi protagonisti dell’arte italiana del secondo Novecento. La piccola ma densa mostra curata da Fabrizio D’Amico e Claudia Terenzi, in stretta collaborazione con la Fondazione Scialoja, presenta undici opere dell’ultimo decennio di vita dell’artista romano scomparso nel 1998. Si tratta di opere di grandi dimensioni, otto delle quali inedite, in cui Scialoja dopo le celebri «impronte» realizzate con la tecnica dello straccio imbevuto di colore, da lui creata tra la fine degli anni ’50 e la metà degli anni ’60, affermò nei suoi dipinti un nuovo linguaggio, liberando una gestualità più intensa e concettuale, caratteristica proprio delle ultime opere esposte.
I dipinti scelti nacquero a seguito di un viaggio a Madrid, nel 1982, in cui Scialoja volle trasferire l’emozione suscitata dalla visita alle celebri tele del ciclo della «Quinta del sordo» di Goya. I tre lavori «storici» (Persecuzione del 1957; Senza titolo New York nero e Greenwich bianco tre, entrambi del 1960); esposti a fianco delle tele tarde, permettono di confrontare nel migliore dei modi la complessità della sua infaticabile e raffinata ricerca tra segno e materia.
Non bisogna infatti dimenticare che Scialoja, oltre che pittore e scenografo fu poeta raffinatissimo, teorico e critico d’arte; egli è indubbiamente stato uno degli artisti italiani che più ha saputo aprire le proprie scelte creative al clima dell’arte internazionale - in particolar modo americana - pur rimanendo artista pienamente europeo. Dopo aver trascorso un lungo periodo a Parigi riflettendo sui linguaggi delle avanguardie storiche, in primo luogo cubismo e surrealismo, negli anni ’50, in pieno clima informale, concretizzò la sua ricerca attraverso la tecnica delle «impronte» assegnando un timbro del tutto personale alla sua arte, in cui la ripetizione delle immagini scandisce lo spazio, il tempo e i ritmi della percezione, in uno straordinario equilibrio tra automatismo ed espressività, tra rigore e passione. La mostra romana presenta eccezionalmente uno degli ultimi dipinti conosciuti di Scialoja, un’opera dal forte valore simbolico, che costituisce il cuore della raccolta.
Per W.d.K 20.3.1997 è infatti un affettuoso omaggio a Willem de Kooning, forse il più grande dei protagonisti dell’action painting newyorkese, scomparso appena un anno prima di Scialoja, cui l’artista era molto legato. Il dipinto, recentemente ritrovato in un magazzino, concentra nella potenza del segno e delle scelte cromatiche il profondo dolore che colpì Scialoja per la morte dell’amico.

Una tela di canapa quadrata, che misura 205X205, in cui si racchiude lo spazio vitale di cui parlava De Kooning in una frase con cui Scialoja amava ricordarlo: «Quando allargo le mie braccia e mi domando dove sono le mie dita, ecco ho misurato lo spazio che serve al pittore».
Orario: tutti i giorni dalle 11 alle 20, ingresso libero (catalogo Skira)

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