PAROLA_LETTORI

la stanza di Mario CerviIl modo più semplice per avere voti è spendere (troppo e male)

In un articolo sul Corriere, Angelo Panebianco chiarisce che il partito della spesa è invincibile e che, per sanare la finanza pubblica, dovremo aspettarci solo e sempre altre tasse, e mai tagli alle spese. Ma, andando avanti così, penso arriveremo prima o poi all'esproprio di ogni proprietà e diverremo tutti nullatenenti cittadini di uno Stato a socialismo reale. È questo il futuro che si vuole e che ci attende?
Milano

Caro Massioni, anch'io ritengo, come Panebianco, che il partito della spesa sia invincibile e che lo sia particolarmente, aggiungo, in una democrazia fondata sul favore popolare. I cittadini sono pronti a scagliarsi - con mille buone ragioni - contro gli arraffamenti e gli sprechi immani per i quali i politici e i burocrati italiani si distinguono. Finché la mannaia si abbattesse - ma purtroppo non si abbatte - sullo scandalo delle indennità parlamentari e di certi stipendi dei mandarini di Stato la gente applaudirebbe. Ma quando non si abbatte su altre anomalie dispendiose - si pensi alle pensioni baby o alle opere pubbliche iniziate e incomplete o a una pioggia di finanziamenti inutili a enti inutili - gli applausi non mancano. Non mancano, almeno, quando vengono tagliati i fatidici nastri e viene insediata una ennesima superflua «autorità». Il modo più semplice e efficace per avere voti - ossia il consenso - è la spesa. La si persegue con straordinaria tenacia e ingegnosità. E si alzano al cielo strazianti gridi di dolore se non si può spendere perché mancano i soldi. Il che di regola avviene in questi tempi calamitosi. Ciò spiega perché molti - nel Paese e nel Palazzo - rimpiangono il buon tempo antico in cui lo Stato italiano poteva battere moneta e lo faceva alacremente. Allora denaro se ne trovava sempre, abbinato all'inflazione e a una crescita paurosa del debito pubblico. Non credo che i motivi di rimpianto siano validi. Neppure credo che ci stiamo avviando verso un'economia da «socialismo reale», per fortuna irrealizzabile. Siamo già, e secondo me ci resteremo, in un'economia del lamento, dell'arrangiarsi, del rigore iniquo e dell'opulenza ignorata.

Siamo, per dirlo sinteticamente, in Italia.

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