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Gli stati-chiave dove si decide la battaglia

Sono almeno sette gli Stati che stabiliranno l'esito del voto. E prprio in questi i cue candidati si sono impegnati fino all'ultimo

Gli stati-chiave dove 
si decide la battaglia

dal nostro inviato a Columbus (Ohio)

Tutti pronti, con il pallottoliere, perché nella notte elettorale i suffragi a livello nazionale contano poco. Al Gore nel 2000 ottenne complessivamente più consensi di Bush, ma perse la presidenza. I voti che valgono sono quelli elettorali e vengono espressi da ogni Stato con la logica del maggioritario assoluto, chi vince li prende tutti. I 31 super delegati di New York andranno a Obama, i 33 del Texas a McCain, per intenderci. Il traguardo è a quota 270 e quest'anno la partita soprattutto sulla costa orientale.

Le premesse sono note: a Obama basta conquistare gli stessi Stati di Kerry nel 2004 più uno grande (l'Ohio) o un paio di piccoli per diventare presidente. Ma l'esito potrebbe risultare più complicato del previsto. Sull'elezione pesano infatti molte incognite, a cominciare dal voto razziale. Quanti sono gli americani che non voteranno Obama solo perché nero? Uno studio recentemente li ha stimati al 6%, ma in certi Stati potrebbero toccare il 10%. E quando un elettore propende per il politicamente poco corretto, tende a mentire sia nei sondaggi che negli exit-poll. Accade peraltro anche in Italia, dove la Lega Nord ottiene a conclusione dello scrutinio molti più consensi di quelli attribuiti dai sondaggi. Non sta bene dire che si vota per Bossi, ma nel segreto dell'urna si fa.

Lo stesso potrebbe accadere stanotte negli Stati Uniti, a svantaggio del candidato democratico. Occhi, dunque agli exit-poll. In passato si sono sbagliati e quest'anno, vista la delicatezza della situazione, gli esperti dei principali media americani rimarranno chiusi in una stanza senza finestre e privati di cellulari, Blackberry, computer portatili, fino alle 17 di New York, le 23 in Italia. Solo allora potranno diffondere le prime stime, soprattutto quelle riferite agli Stati cruciali. Quali?

Innanzitutto la Pennsylvania, con i suoi 21 voti elettorali. In teoria è democratica, ma McCain è convinto di farcela e alcune rilevazioni confortano la sua impressione. Se strappasse questo Stato la rimonta sarebbe davvero possibile, a condizione di conquistare anche Florida (27) e Ohio (20), i due Stati decisivi nel 2000 e nel 2004, che sono in bilico. E poi North Carolina, Virginia, Missouri, Indiana. Sette su sette, se due di questi invece fossero saldamente di Obama non sarebbe necessario aspettare il computo finale per conoscere il nome del nuovo presidente degli Stati Uniti, considerato che, più a Ovest, Iowa, New Mexico e Colorado al 90% saranno blu ovvero democratici.

In ogni caso gli osservatori si aspettano un'altra giornata caotica, come nel 2000, come nel 2004. Passano gli anni ma gli Stati Uniti non riescono a rendere efficiente il sistema elettorale. E quest'anno potrebbe andare anche peggio se le previsioni di un'affluenza record saranno rispettate. Venti milioni hanno optato per il voto anticipato, tanti ma non abbastanza per scongiurare le code. Alle urne si attende un esercito di altri 115 milioni di persone, forse di più. Due terzi esprimeranno la propria preferenza su schede cartacee, che saranno scrutinate da macchine munite di scanner ottici. Un terzo utilizzerà i famigerati seggi elettronici, molti dei quali nella versione «touch-screen», che funzionano come i bancomat, ma non prevedono un riscontro cartaceo del voto espresso e sono poco affidabili.

Si prevedono tempi lunghi e molte polemiche. Anche frodi? È possibile ma le sezioni negli Stati decisivi saranno presidiati da migliaia di esperti legali pronti a contestare qualunque anomalia. Ammesso che ci siano abbastanza cabine elettorali. È l'ultima assurdità: il numero è deciso autonomamente dai singoli Stati e spesso dalle singole contee, talvolta sulla base delle disponibilità finanziarie. E questo spiega perché, sovente, le code siano più lunghe nei quartieri poveri rispetto a quelli ricchi.

Un problema in più per Obama che conta sulla mobilitazione dei giovani e dei neri, molti dei quali, nelle grandi città, non vivono nei sobborghi chic.

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