Politica

Lo Stato azzoppato dall’Ulivo

L’argomento forte del centrosinistra contro la riforma costituzionale (devoluzione, premierato) è questo: la riforma toglie risorse agli Enti locali. Poiché ogni italiano vive in un ente locale (Comune, Provincia, Regione), è evidente l'impatto di un tale slogan. Anche se ieri il ministro Gianni Alemanno, An, ha ricordato una semplice verità: che se al referendum prevalesse la sinistra, ovvero il «no» alla riforma, questa, non entrando in vigore, lascerebbe le cose come stanno, ovvero con il federalismo parziale attuato dal centrosinistra alla fine della scorsa Legislatura modificando il Titolo V della Costituzione. Con la conseguenza che il contenzioso tra Stato e Regioni continuerebbe ad essere altissimo e ad impegnare gran parte del tempo della Corte costituzionale per dirimerlo, mentre gli Enti locali continuerebbero allegramente a sperperare denaro in consulenze esterne, viaggi faraonici, assunzioni improduttive.
Ora, il punto è questo: possibile che la sinistra, tradizionalmente centralista, abbia voluto tutto questo? La risposta è che la sinistra pensa, ovvero ha un certo numero di persone che, senza dare un eccessivo rilievo alla propria visibilità, studia le tendenze e cerca le soluzioni più adatte per volgerle nel proprio interesse, che è quello della conquista e della gestione del potere. Intendo che le riforme Bassanini - ovvero il federalismo senza modificare la Costituzione - inquadrate poi dalla riforma del Titolo V nacquero sulla riflessione, da sinistra, del processo di globalizzazione, che la destra, superficialmente, riduceva al trionfo definitivo del mercato sul socialismo. Che cosa, infatti, metteva in luce il processo di globalizzazione emerso all'inizio degli anni '80? Due fenomeni paralleli: la riduzione del ruolo propulsivo e normativo degli Stati centrali (cioè dei governi e dei parlamenti centrali) e la richiesta di aumento degli stessi ruoli da parte dei poteri «locali» a tutti i livelli.
Sazia del successo ideologico - fine del comunismo, trionfo del mercato - la destra non studiò a fondo il fenomeno. Ben diversamente, la sinistra promosse alcune riforme, quali l'elezione diretta dei vertici degli Enti locali (sindaco, presidenti di provincia e regione), e soprattutto la devoluzione di poteri reali, facendo proprio il «principio di sussidiarietà» che la destra rivendicava come proprio perché pregno di liberalismo. Solo in qualche caso, ad esempio in Lombardia e in Veneto, leader di destra capirono come si dovesse mettere radici sul territorio, ottenendo risultati.
La sinistra andò consapevolmente incontro alla sconfitta del 2001 ben sapendo che aveva conquistato dei fortilizi, prima normativi e poi concreti, a livello locale, e ben sapendo che la conquista del potere centrale (governo, parlamento) da parte della destra avrebbe avuto effetti ridotti, risultando limitato e compresso, dall'alto, dai sorveglianti europei sul bilancio dello Stato e, dal basso, dai nuovi poteri degli Enti locali, con i quali avrebbe ingaggiato una guerriglia destinata alla sconfitta, come ha dimostrato la recente sentenza della Corte costituzionale su alcuni aspetti della legge taglia-spese della Finanziaria 2004.
Resta da capire perché la destra abbia dedicato così poca attenzione allo studio della realtà, delle tendenze, delle relative implicazioni.

È vero che è passata da una emergenza all'altra, alcune di carattere esterno ed altre interno, ed è altrettanto vero che ha fatto moltissime cose per risanare i «fondamentali» dell'economia con le riforme strutturali compatibili con la stabilità sociale, ma fino a quando non dedicherà risorse alla riflessione approfondita lascerà alla sinistra quel primato culturale che dalla letteratura e dalla saggistica è passato ai temi costituzionali e amministrativi, ovvero agli strumenti operativi della politica.

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