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Lo Stato non paga le imprese ma rimborsa subito i giudici

I cittadini aspettano anni prima di riscuotere dalla pubblica amministrazione. E il governo decide di restituire ai magistrati le somme decurtate dagli stipendi

Lo Stato non paga le imprese ma rimborsa subito i giudici

Mario Monti ha firmato il provvedimento prima di partire per il Laos, via Afganistan. I magistrati, e con loro gli alti dirigenti pubblici, otterranno nei prossimi mesi gli arretrati dovuti secondo la sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato illegittimi i tagli sui loro stipendi decisi dalla Finanziaria 2010. Serve solo il via libera della Corte dei conti, per registrare il provvedimento e renderlo esecutivo. A Palazzo Chigi confermano che è pronto il decreto del presidente del Consiglio dei ministri che impone la restituzione del «maltolto», come lo chiamano le toghe, per tre quarti entro il 2012 e per un quarto nel 2013. Meglio di così non poteva andare. E non c’è voluta neppure una battaglia, è bastata una sapiente e discreta trattativa con il governo. La vittoria è arrivata a tambur battente, perché nemmeno un mese è passato da quell’11 ottobre in cui il verdetto della Consulta è stato depositato. Ma si sa, se gli imprenditori possono aspettare anni per incassare i pagamenti dalla Pubblica amministrazione e magari nel frattempo falliscono o licenziano centinaia di lavoratori, i magistrati è meglio non inimicarseli.

Crisi o non crisi, il governo si è mosso subito. È bastata solo la minaccia di una marea di cause, ricorsi ai Tar, diffide e ingiunzioni di pagamento per ottenere di recuperare gli arretrati, con interessi e rivalutazione monetaria. Mentre gli Avvocati dello Stato aprivano la strada con aggressività, bussando ai tribunali amministrativi di tutt’Italia per chiedere l’immediata esecuzione della sentenza, i 9mila magistrati preferivano puntare sulla trattativa, cercando un accordo senza far troppo rumore. È in momenti come questi che si misura l’importanza di aver piazzato i tanti «fuori ruolo» nei gangli vitali del potere, nei Palazzi centrali della politica, nei ministeri e in parlamento. Anche stavolta loro hanno certo manovrato bene.

 In attesa del risultato, le toghe si consultavano e compattavano, pronte a partire con le cause individuali. In 3mila si erano già rivolteal legale indicato dall’ufficio sindacale dell’Anm, ma non c’èstato bisogno di partire con migliaia di istanze individuali, perché a Palazzo Chigi si è trovata la soluzione, malgrado si aprisse una nuova voragine nei conti dello Stato.

 Il Dpcm stabilisce che con «tagli lineari » alle spese di tutti i ministeri bisogna trovare nel bilancio i soldi in questione, rivendendo anche le previsioni di spesa per il futuro che sono già state messe nero su bianco. Le risorse, quando si vuole, si trovano. Sono 190 milioni per ognuno degli anni 2012, 2013 e 2014,più 60 milioni per l’anno 2015 e altri 30 milioni per l’anno 2016. Questo, per il pagamento degli arretrati dovuti sia al taglio del 2,5 per cento all’indennità giudiziaria e che a quello del 5 per cento sulle retribuzioni superiori ai 90 mila euro e del 10 per cento su quelle oltre i 150 mila. Mentre è ancora da quantificare la somma, ben più rilevante, dovuta per il mancato adeguamento triennale degli stipendi. Non è ancora chiaro se l’atto amministrativo firmato in questi giorni da Monti sia onnicomprensivo, oppure se seguirà a breve un altro Dpcm per completare l’operazione.

 I magistrati festeggiano: hanno ottenuto che sia ripristinata l’intera base retributiva per il futuro e che sia restituito il pregresso tagliato e hanno scongiurato il rischio concreto che, data l’emergenza economica che richiede a tutti lacrime e sangue, i tagli fossero invece estesi anche all’anno 2014.

 Dalle prossime buste paga, a partire da novembre e dicembre, cominceranno dunque a recuperare decurtazioni e contributi di solidarietà, che le hanno alleggerite negli ultimi anni, più conguagli e anticipi. Per ripristinare gli scatti automatici delle retribuzioni si raschierà il barile: secondo l’Istat l’incremento medio del pubblico impiego nel triennio in questione sarebbe complessivamente di circa il 6,8 per cento e l’aumento de­gli stipendi, che per legge doveva arrivare entro aprile,in questo caso partirà prima della fine dell’anno. Se qualcosa non dovesse funzionare le toghe, indirizzate dall’Anm, sono pronte a riprendere la guerra, organizzate per produrre un contenzioso imponente, intasando i Tar e sommergendo di diffide i ministeri dell’Economia e della Giustizia, oltre che la Ragioneria dello Stato.

In questi casi, sanno bene come muoversi.

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