Stavolta Hillary rischia grosso: «Sulle e-mail gravi violazioni»

Il rapporto dell'ispettore indipendente nominato da Obama evidenzia il mancato rispetto delle regole di sicurezza quando era segretario di Stato

Questa volta le cose potrebbero mettersi male per Hillary Clinton. Mentre l'ex first lady è a una manciata di delegati dal numero magico che assicura la nomination democratica per la corsa alla Casa Bianca, torna prepotentemente alla ribalta lo scandalo mai sopito dell'e-mail utilizzata quando era a capo della diplomazia americana. Secondo l'osservatorio indipendente del Dipartimento di Stato, infatti, usando il suo account privato di posta elettronica la Clinton si è resa responsabile di gravi violazioni delle regole sulla cyber-sicurezza. La conclusione è contenuta in un rapporto di 78 pagine inviato al Congresso, e anche se per ora non si parla di eventuali procedure a carico di Hillary, la candidata dem dovrà in ogni caso rendere conto del suo operato nell'ambito di una inchiesta in corso da parte dell'Fbi, e in una causa legale avviata da una organizzazione di ispirazione conservatrice che chiede anche una sua testimonianza alla Camera. Ma soprattutto, c'è il rischio che la questione abbia serie ripercussioni sulla sua campagna elettorale per le presidenziali. Nel dossier è finito nel mirino non solo il fatto che la Clinton da segretario di Stato usasse un account privato di posta elettronica, ma anche la mancanza di mesi di informazioni riferite all'incarico svolto dall'ex first lady a Foggy Bottom. Tutto ciò - secondo Steve Linick, l'ispettore generale nominato da Barack Obama - rappresenta una violazione delle policy e delle procedure in vigore al Dipartimento di Stato. Nel rapporto si afferma che responsabilità simili alle sue riguarderebbero almeno quattro suoi predecessori, e tale argomento è stato immediatamente utilizzato dal portavoce della sua campagna, Brian Fallon, per il quale il dossier «documenta esattamente come i comportamenti sulle e-mail di Hillary Clinton siano state coerenti con quelli di altri segretari di Stato e funzionari di alto livello». Per l'ispettore generale questo invece non costituisce una scusante, poiché «al momento del suo mandato, tra il 2009 e il 2013, le linee guida del Dipartimento di stato sulla cyber-sicurezza erano molto più dettagliate e sofisticate rispetto al passato, e quindi le sue azioni devono essere valutate alla luce di tali direttive». Le violazioni elencate contraddicono l'affermazione dell'ex first lady secondo cui aveva ottenuto il via libera per usare il suo account privato: nel dossier si afferma che Hillary non aveva avuto il necessario permesso dalle autorità, e inoltre «aveva l'obbligo di discutere l'uso del suo indirizzo email personale per attività ufficiali», ma non ci sono prove che lo abbia mai fatto. La vicenda, fanno notare diversi osservatori, presupporrebbe per una questione etica le dimissioni (se fosse ancora in carica), o quanto meno un passo indietro. Decisione quest'ultima alquanto improbabile dal momento che Hillary si trova finalmente vicinissima alla conquista della nomination dell'Asinello. Lo scandalo rischia comunque di infangare il suo nome e la sua candidatura agli occhi del pubblico molto più di quanto abbiano fatto gli attacchi dei suoi avversari nel corso delle primarie. E soprattutto potrà essere utilizzato dal candidato repubblicano Donald Trump per affermare come la rivale non sia qualificata a diventare il nuovo Commander in Chief.

Nel giorno in cui sulla testa di Hillary è piombata una tegola pesantissima, però, nel mirino finisce anche il tycoon newyorkese, per una questione di evasione fiscale. Secondo il britannico Daily Telegraph, infatti, Trump avrebbe effettuato un investimento «mascherato» da prestito per sottrarre allo stato americano circa 50 milioni di dollari.

L'accusa è basata su un documento individuato dal quotidiano britannico, emerso nel corso di un'azione legale lanciata dagli ex dipendenti di Bayrock Group, società immobiliare partner di Trump che ha compiuto con la islandese FL Group l'accordo finito sotto accusa.

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