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Storia del vicentino finito in carcere perché preparava un attacco a Beirut

Arrestato dall'antiterrorismo libanese dopo aver fotografato obiettivi sensibili e trattato su come distruggerli, Bachri si difende dicendo che era solo una messinscena per truffare l'Isis

Storia del vicentino finito in carcere perché preparava un attacco a Beirut

da Beirut

Terrorista pronto a colpire o truffatore, più o meno sprovveduto, che pensava di farsi un po' di soldi scherzando con il fuoco? Lo strano caso di Karim Bachri, cittadino italiano, in galera a Beirut da quasi un anno è giunto a una svolta. Il primo febbraio sono state formalizzate le accuse. Secondo la magistratura libanese il vicentino stava preparando un attentato nella capitale. Bachri si professa innocente e sostiene che voleva solo truffare dei presunti terroristi spillando dei soldi senza alcuna intenzione di mettere delle bombe. Ventiquattro anni, residente a Trissino, in provincia di Vicenza, Bachri ha la mamma italiana e il papà originario del Marocco. L'8 marzo dello scorso anno finisce in manette a Beirut e adesso è rinchiuso nel noto carcere di Roumieh, dove le condizioni di detenzione sono dure.

L'incredibile vicenda, che assomiglia alla trama di un film, inizia con un adescamento del giovane vicentino sul «dark web», la parte oscura di internet. Secondo fonti della sicurezza libanese, Bachri sarebbe stato contattato da un sedicente gruppo terroristico legato ad Al Qaeda o allo Stato islamico. In realtà il «committente», che chiede al vicentino di fare dei sopralluoghi a Beirut per compiere degli attentati, non è stato ancora individuato. «Karim voleva solo manipolare questa persona non identificata ottenendo dei soldi, ma senza compiere alcun atto terroristico», spiega Tony Chidiac, l'avvocato difensore. Il legale fa parte del rinomato studio George Jabre, che si è occupato anche del caso di Marcello Dell'Utri, ex senatore di Forza Italia estradato da Beirut.

Bachri riesce a ottenere dal misterioso «mandante» 5-6mila euro di anticipo per recarsi nella capitale libanese, dove arriva la prima volta nel dicembre 2017 per poi tornare in marzo. L'italiano scatta delle foto di possibili obiettivi, che però non sarebbero, secondo la difesa, «né militari, né politici». La prima volta si reca a Jounieh, cittadina sul mare a nord di Beirut. E vicino a un'università cristiana affigge in un negozio di abbigliamento dei volantini per dimostrare al presunto terrorista del web che è sul posto.

Durante il secondo viaggio, che finirà con l'arresto, scatta le foto di un capannone vicino all'aeroporto, che secondo l'accusa è un obiettivo sensibile. L'area è sotto il controllo di Hezbollah, il partito armato sciita nemico giurato dei terroristi sunniti di Al Qaeda e dell'Isis.

Non si capisce se siamo di fronte a una spy story o alla brutta copia di un film di Sordi. Il vicentino gira per Beirut accompagnato dall'autista di un medico libanese conosciuto durante il primo volo per il Libano. Bachri sembra non nascondere le sue intenzioni e lo stesso accompagnatore gli propone di cambiare la targa dell'auto per non farsi individuare. E si sarebbe anche offerto di portarlo a Balbeek per incontrare dei trafficanti di armi per procurarsi degli esplosivi. Bachri in due chat via Skype con il misterioso mandante spiega come distruggere gli obiettivi. Ora sostiene che era solo una messinscena per ottenere più soldi e portare a termine la truffa. Lo stesso tassista che lo accompagna dandogli consigli lo denuncia alla gendarmeria. E scattano le manette anche se addosso al vicentino o nel suo albergo non sono mai state trovate armi o esplosivi.

«Il giudice ha travisato completamente le dichiarazioni di Bachri, che non è un pericoloso killer come sostiene l'accusa» dice il suo avvocato. Il giovane vicentino è uno smanettone sui computer con tanta voglia di viaggiare. Diplomato al liceo scientifico Quadri di Vicenza, Karim frequenta per un breve periodo l'università. Il padre, Lahcen, vive in provincia di Vicenza, ma è separato da anni dalla madre, Erica Masiero, che su Facebook si definisce «chef vegan-crudista». Nel 2009 si era candidata con una lista locale di centro-sinistra e vive senza tv. Masiero sostiene fin dall'inizio che suo «figlio non è un terrorista». Il 14 marzo andrà a trovarlo per la seconda volta nel carcere di Beirut.

Uno zio di Karim, in Marocco, è un giudice, ma i carabinieri del Ros di Padova, non hanno trovato alcun legame jihadista del giovane vicentino. Gli investigatori propendono per la tesi della tentata truffa. Bachri ha viaggiato dall'ex Jugoslavia all'Arabia Saudita dove si è scattato un selfie postato su Facebook probabilmente nella zona della moschea del Profeta a Medina, luogo santo dell'Islam. L'unico «mi piace» è di Ermal Arif Murati, un albanese che vive a Milano, che segue il predicatore salafita Zakir Naik, sospettato di avere ispirato diversi attacchi del terrore, compresa la strage di Dacca, in Bangladesh, dove nel 2016 sono morti nove italiani. Curiosa coincidenza, la città di origine di Murati è Burrel, uno dei punti di partenza dei volontari albanesi della guerra santa in Siria. In realtà Bachri avrebbe già provato a organizzare una rischiosa truffa in Francia. Un uomo gli aveva chiesto di eliminare l'ex moglie in cambio di soldi.

Nel misterioso caso libanese la posta in gioco era di almeno 60mila dollari, ma si poteva arrivare a 300mila con l'acquisto di armi ed esplosivi. L'aspetto paradossale è che il vicentino sarebbe stato pagato in bitcoin. La prossima udienza a Beirut è fissata per il 14 aprile.

Truffa finita male o terrorismo, Bachri rischia da un minimo di 10 anni di carcere all'ergastolo, se non verrà dimostrato che stava solo scherzando con il fuoco.

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