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Lo strappo di Berlusconi Il no del cofondatore: "Non lascio la Camera"

Duro documento dell'ufficio di presidenza (il testo - il video): "Grave l'abbandono del suo ruolo istituzionale, fiducia esaurita". Il premier: "Noi responsabili, suo il dissenso. Indifferibile fare chiarezza"

Lo strappo di Berlusconi 
Il no del cofondatore: 
"Non lascio la Camera"

Roma - Fuori Fini e i suoi dal Pdl. Un documento durissimo dell'ufficio di presidenza del Pdl e le parole di Silvio Berlusconi che chiudono la porta al "cofondatore" e ai suoi fedelissimi. La rottura si consuma così, in serata. Basta mediazioni e invito a lasciare il partito e la presidenza della Camera. "I coordinatori hanno svolto una relazione e hanno deciso di deferire ai probiviri gli onorevoli Briguglio, Granata e Bocchino, con la condivisione dell'ufficio di presidenza" esordisce il premier nella conferenza stampa al termine del vertice del partito. "Si è presentato un dissenso da parte di Fini e degli uomini a lui vicini nei confronti del governo, della maggioranza e del presidente del Consiglio. Io non ho mai risposto, anzi ho sempre smentito i virgolettati che mi hanno attribuito. Abbiamo tenuto un comportamento responsabile, visto il momento di crisi che viviamo. "Dopo l'approvazione di una manovra assolutamente indispensabile che ci ha richiesto l'Europa, abbiamo ritenuto fosse arrivato il momento non più differibile di fare chiarezza sulla situazione nel partito".

Partito diviso, prezzo troppo alto "Abbiamo tutti ritenuto che il Pdl non potesse pagare il prezzo troppo alto di mostrarsi un partito diviso" ha detto ancora il premier rispondendo in conferenza stampa a chi chiedeva se la nascita di gruppi finiani non si un prezzo troppo alta da pagare per la maggioranza. "I tifosi si distaccano da una squadra se la vedono litigiosa, tanto più se i litigi avvengono in campo aperto. Trentatre su trentasei membri dell'ufficio di presidenza hanno ritenuto che non si potesse più continuare in questa situazione".

Ministri finiani nell'esecutivo "Questa decisione sarà assunta nella sede del governo ma per quanto mi riguarda non ho nessuna difficoltà a continuare una collaborazione con validi ministri. Risponde così il premier Silvio Berlusconi, a chi gli chiede se dopo la rottura con Fini dovranno lasciare l'esecutivo i componenti vicini al presidente della Camera.

Governo non a rischio "C'é stata un'altalena di numeri, ma non si poteva più restare in questa situazione" aggiunge Berlusconi rispondendo ai giornalisti che gli chiedono indicazioni sul numero dei parlamentari finiani. "Non c'é nessun rischio" ribadisce il premier.

Fini: non mi dimetto La presidenza della Camera non è nella disponibilità del presidente del Consiglio, io non mi dimetto. Così il Fini, parlando con i suoi ha commentato le pressioni che vengono dal Pdl e dal premier per sue dimissioni. Ma neanche lasciando Montecitorio il presidente della Camera ha commentato con i cronisti che lo incalzavano il documento dell'ufficio di presidenza del Pdl. Fini è uscito da Montecitorio accompagnato dal sottosegretario al Welfare, Pasquale Viespoli.

Il documento: posizioni incompatibili "L'ufficio di presidenza considera le posizioni di Fini assolutamente incompatibili con i principi ispiratori del Popolo della Libertà, con gli impegni assunti con gli elettori e con l'attività politica del Popolo della Libertà" si legge nella bozza del documento finale dell'ufficio di presidenza del Pdl.

Venuta meno la fiducia L'ufficio di presidenza del Pdl, a fronte dei "comportamenti incompatibili" di Fini con i principi ispiratori del partito, sostiene che "di conseguenza viene meno anche la fiducia del Pdl nei confronti del ruolo di garanzia di presidente della Camera indicato dalla maggioranza che ha vinto le elezioni". L'ufficio di presidenza del Popolo della Libertà ha condiviso la decisione del comitato di coordinamento di deferire ai probiviri gli onorevoli Bocchino, Granata e Briguglio.

Opposizione sistematica, non dissenso "L'atteggiamento di opposizione sistematica al nostro partito e nei confronti del governo che nulla ha a che vedere con un dissenso che legittimamente può essere esercitato all'interno del partito, ha già creato gravi conseguenze sull'orientamento dell'opinione pubblica e soprattutto dei nostri elettori, sempre più sconcertati per un atteggiamento che mina alla base gli sforzi positivi messi in atto per amalgamare le diverse tradizioni politiche che si riconoscono nel Pdl e per costruire un nuovo movimento politico unitario di tutti coloro che non si riconoscono in questa sinistra". "La condivisione di principi comuni e il vincolo di solidarietà con i propri compagni di partito sono fondamenti imprescindibili dell'appartenenza a una forza politica. Partecipare attivamente e pubblicamente a quel gioco al massacro che vorrebbe consegnare alle Procure della Repubblica, agli organi di stampa e ai nostri avversari politici i tempi, i modi e perfino i contenuti della definizione degli organigrammi di partito e la composizione degli organi istituzionali, è incompatibile con la storia dei moderati e dei liberali italiani che si riconoscono nel Popolo della Libertà".

"Si milita nello stesso partito - viene scritto - quando si avverte il vincolo della comune appartenenza e della solidarietà fra i consociati. Si sta nel Popolo della Libertà quando ci si riconosce nei principi del popolarismo europeo che al primo posto mettono la persona e la sua dignità. Assecondare qualsiasi tentativo di uso politico della giustizia; porre in contraddizione la legalità e il garantismo; mostrarsi esitanti nel respingere i teoremi che vorrebbero fondare la storia degli ultimi sedici anni su un 'patto criminale' con quella mafia che mai come in questi due anni è stata contrastata con tanta durezza e con tanta efficacia, significherebbe contraddire la nostra storia e la nostra identità". "Le cronache giornalistiche degli ultimi mesi testimoniano meglio di ogni esempio la distanza crescente tra le posizioni del Pdl, quelle dell'0n. Fini e dei suoi sostenitori, sebbene tra questi non siano mancati coloro che hanno seriamente lavorato per riportare il tutto nell'alveo di una corretta e fisiologica dialettica politica". Lo si legge nella bozza del documento che sottolinea come "tutto ciò è tanto più grave considerando il ruolo istituzionale ricoperto dall'On. Fini: un ruolo che è sempre stato ispirato nella storia della nostra Repubblica ad equilibrio e moderazione nei pronunciamenti di carattere politico, pur senza rinunciare alla propria appartenenza politica".

Ruolo politico, rinuncia all'imparzialità "Mai prima d'ora - viene rimarcato - è avvenuto che il presidente della Camera assumesse un ruolo politico così pronunciato perfino nella polemica di partito e nell'attualità contingente, rinunciando ad un tempo alla propria imparzialità istituzionale e ad un minimo di ragionevoli rapporti di solidarietà con il proprio partito e con la maggioranza che lo ha designato alla carica che ricopre". "L'unico breve periodo in cui Fini ha 'rivendicato' nei fatti un ruolo superpartes è stato durante la campagna elettorale per le regionali al fine di giustificare l'assenza di un suo sostegno ai candidati del Pdl". L'ufficio di presidenza ha votato il documento in cui sono contenute accuse sull'atteggiamento tenuto dal presidente della Camera. Oltre al deferimento ai probiviri di tre deputati: Italo Bocchino, Carmelo Briguglio, Fabio Granata. A Votare no al documento sono stati Andrea Ronchi, Adolfo Urso e Pasquale Viepsoli, i tre componenti dell'ufficio di presidenza vicini all'ex leader di An.

L'ufficio di presidenza del Pdl è stato presieduto dal premier Silvio Berlusconi e all’incontro partecipano i coordinatori del partito, i capigruppo di Camera e Senato, i ministri del Pdl, i presidenti di Regione oltre al sindaco di Roma Gianni Alemanno.

 Per la componente finiana sono presenti Adolfo Urso, Paquale Viespoli e Andrea Ronchi.

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