Politica

Lo strappo dei moderati

Elogio dell’inciucio. Questo titolo al mio articolo apparirà certo «controcorrente». Ma collaborando al Giornale sin dal 1975 so anche che il nostro lettore ama anche testi ben argomentati. Essendo il mio articolo decisamente contro le elezioni anticipate, devo fare una premessa. Quando il ministro della Difesa Arturo Parisi minaccia le elezioni anticipate (il solito ricatto) se non si voterà il decreto per finanziare la nostra missione in Afghanistan, sbaglia, perché parla di cose che non sono di sua competenza. L'art. 88 della Costituzione (sempre citata a sproposito dalla sinistra) detta «Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere». Non si parla di Presidente del Consiglio, e i Presidenti delle Camere vanno solo sentiti. Poi, e questo è il nostro caso, l’art. 94 al IV comma prevede «il voto contrario di una o d'entrambe le Camere su una proposta del Governo non importa obbligo di dimissioni». Se il Governo Prodi viene sfiduciato al Senato, non è obbligato a dimettersi. Ricordo questi articoli a sostegno del Presidente della Repubblica: quando verranno tempi durissimi per colpa di una maggioranza che crede di essere padrona, sarà necessario difenderlo. Inoltre non dimentichiamo che il nostro Presidente invita i partiti alla concordia e alla collaborazione anche in casi di emergenza.
In un dibattito immediatamente dopo le scorse elezioni alla domanda del conduttore se la sinistra non avesse ottenuto una piena vittoria al Senato, tutti risposero - salvo Giovanni Sartori - che si dovevano fare nuove elezioni. Tutti erano innamorati del sistema bipolare esistente in Gran Bretagna e negli Stati Uniti d'America. Sartori rispose sorridendo che bisogna seguire l'esempio della Repubblica federale tedesca che nell’impossibilità di seguire il modello ha realizzato una grande coalizione, in questo facilitata dal fatto che già da tempo la sinistra aveva scaricato l'ultra sinistra.
A livello inconscio ci sono molti nostalgici dell'antico mandato imperativo (il deputato deve ubbidire all'elettore) escluso oggi dalla Costituzione (art. 67). Bisogna prendere atto che oggi abbiamo non due partiti, ma due coalizioni: il futuro «Partito democratico della sinistra» lasciamolo ai sognatori. Abbiamo due coalizioni che contengono più partiti, e, se c'è un obbligo politico di fedeltà, va al partito, non alla coalizione.
Ora vediamo come su questioni importanti l'Unione sia profondamente divisa e come l'ultra-sinistra sia decisa a votare «no» al Senato in una questione vitale come il rifinanziamento delle nostre missioni all'estero. In questo caso la Margherita e l'Udc (Casini) farebbero benissimo a dissociarsi dalle rispettive coalizioni. Un inciucio? No, è la forma aurorale di una grande coalizione basata sul pragmatismo e non sui ricatti.
E Romano Prodi? Non c'è un gran posto per lui in questo processo storico.

Anche se ubbidisce ai ricatti di Fausto Bertinotti o cede alle lusinghe di Pierferdinando Casini resta un'anatra ormai azzoppata.

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