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Stuprata e uccisa la giornalista fan di Gheddafi

Si infittisce il mistero sulla sorte di Hala Misrati, la nota giornalista della tv libica che lo scorso agosto si presentò in studio tenendo in mano una pistola e minacciò i ribelli anti Gheddafi. Secondo alcuni media arabi la donna sarebbe stata trovata morta in una prigione di Tripoli, ma i familiari della giornalista smentiscono pur precisando che Hala «può morire da un momento all’altro».
Fedelissima del rais, dopo la caduta del regime, Hala Misrati era stata catturata e arrestata dai ribelli, ai quali poi aveva chiesto ufficialmente scusa. Nella sua ultima apparizione tv, lo scorso 30 dicembre, era apparsa seduta su una sedia, senza parlare. Misrati sventolava un foglio su cui erano annotati solamente il giorno, il mese, l’anno e riportava segni visibili di percosse sul volto. Secondo alcuni c’era anche il sospetto che alla donna fosse stata tagliata la lingua.
Il suo caso, seguito da numerose organizzazioni in difesa dei diritti umani, ha suscitato indignazione e proteste sui social network. Tra i numerosi messaggi postati su Twitter anche quelli che hanno denunciato che la donna è «incinta dopo essere stata costretta a subire violenza per ben 17 volte». Poi la notizia della sua morte, riportata dalla tv al Arabiya secondo la quale Misrati sarebbe stata ammazzata il 17 febbraio, in occasione del primo anniversario dell’avvio della liberazione. Dalle autorità della capitale però non è arrivata nessuna presa di posizione ufficiale sulla morte, come anche dai genitori che al sito Albawaba hanno detto che la loro figlia «si trova in una situazione critica» e che la «sua morte potrebbe avvenire da un momento all’altro». Una versione confermata anche dal canale Algeria Isp.
«Stando alle ultima notizie che abbiamo ricevuto dal medico Yousuf Shakir - scrive il sito Libya S.O.S. che raggruppa varie ong in difesa dei diritti umani - non possiamo confermare se sia viva o morta. Sappiamo solo che Misrati si trova nella prigione di Jadida dove viene maltrattata dai ribelli. Contro di lei non ci sono accuse precise, non esiste un capo di imputazione e nessun processo è previsto».
Insomma un vero e proprio giallo circonda quella che un tempo è stata una tra le voci più forti della propaganda del rais. Nell’agosto del 2011 era apparsa in video con una pistola in pugno e in diretta aveva minacciato di usarla per difendere il regime dai ribelli. «Ucciderò o morirò con quest’arma - aveva detto - siamo disposti a diventare dei martiri».


Nella Libia del dopo Gheddafi, come denunciato recentemente da Amnesty International, diventa sempre più difficile indagare sui casi di abusi umani, che avvengono in particolare nelle strutture detentive, oltre che assicurare alla giustizia i colpevoli delle numerose violazioni dei diritti umani.

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