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La sua tele-rivoluzione: portò il pubblico sul palco

Creò "Aboccaperta" e cambiò l’intrattenimento: fu il primo show della televisione italiana nel quale la gente comune era protagonista

La sua tele-rivoluzione: portò il pubblico sul palco

Se vale quella vecchia battuta di Marcello Marchesi: «L'importante è che la morte ci colga vivi», Gianfranco Funari l'ha interpretata fino in fondo, al meglio delle sue possibilità. Pieno com'era di passionale vitalità sino all'ultimo, di accensioni umorali disordinate e a volte rabbiose, di esternazioni arrembanti, incazzature ciclopiche seguite da momenti di calma apparente. Sempre sopra le righe, spesso scomodo per se stesso e per la sua salute prima ancora che per un sistema televisivo che dapprima lo ha eletto a rappresentante ideale del «parla come mangi» e poi emarginato non appena il perfetto esempio di «animale televisivo» aveva voluto allargarsi troppo invadendo i territori del giornalismo politico e diventando ingestibile. Un aggettivo che oggi, più di ogni altro, segna il confine tra chi può stare al centro del palcoscenico mediatico e chi deve invece accontentarsi delle periferie. La biografia di Gianfranco Funari è un inno alla vita esagerata: rappresentante di commercio, poi croupier, quindi cabarettista che si fa le ossa al mitico Derby di Milano, quindi il grande salto televisivo grazie a Telemontecarlo dove inizia nel 1980 con Torti in faccia e un anno dopo con il più fortunato Aboccaperta che sarà poi portato su Raidue nel 1984. È una trasmissione innovativa per l'Italia, perché introduce l'idea che tutti possano parlare di tutto, dibattendo da due tribune contrapposte e battibeccanti. Si dà voce alla gente comune su qualsiasi questione, dalle più superficiali alle più delicate, e da questo atto di apertura democratica nascerà, come aspetto più discutibile, l'opinionismo omnicomprensivo e disinvolto, la certificazione che in televisione si possa diventare da un giorno all'altro «tuttologi».
Il successo è comunque immediato: Funari buca il video con una personalità schiacciante, incarna al meglio la sostanza della televisione che è prima di tutto impatto fisico, comunicazione istintiva, capacità istrionica. Con il successivo Mezzogiorno è (su Raidue dal 1987 al 1990) e Mezzogiorno italiano (su Italia 1 nel 1991) fa diventare importante, sotto il profilo degli ascolti e dell'interesse, la cosiddetta fascia meridiana. Comincia anche a trasformarsi, con notevole intraprendenza e fiuto imprenditoriale, in procacciatore di contratti pubblicitari televisivi che lo rendono presto ricco (una sua mai celata soddisfazione, vissuta come riscatto orgoglioso da lunghi anni di difficoltà) e perfettamente sinergico alle esigenze della tivù commerciale.
La particolare sensibilità alle leggi del marketing e ai diritti della «reclame» (come chiamerà sempre gli intermezzi pubblicitari) lo aiuterà nei momenti di difficoltà seguiti al suo ostracismo televisivo deciso da Bettino Craxi, quando il conduttore aveva già iniziato una evoluzione che lo portò a svecchiare il linguaggio della politica sul piccolo schermo, e a cavalcare poi con molto entusiasmo le inchieste giudiziarie di Antonio Di Pietro. Funari è costretto a trovarsi personalmente gli sponsor e ad andare in onda sulle frequenze di 75 emittenti locali collegate al suo programma Zona franca.
Non facile nemmeno il rapporto con l'informazione «ufficiale», specie nel corso di Funari News e Punto di svolta che nella stagione ’93-94 lo vedono precedere e seguire il Tg4 di Emilio Fede, per non parlare dell'infelice esperienza come direttore dell'Indipendente. C'è anche un tentativo di candidarsi a sindaco di Milano, presto abortito, ma anche quello non sarebbe stato il suo mestiere. Il mestiere di Funari è la tivù, che conosce e domina come pochi. Si inventa L'edicola, la lettura comparata dei quotidiani che gli sarà poi copiata da tanti, e fa di necessità virtù nel periodo dell'esilio televisivo «rubando» e dibattendo i titoli dei tiggì di Rai e Mediaset quando trova ospitalità a Odeon Tv. Il penultimo tentativo sui grandi palcoscenici lo compie con Napoli capitale (Raidue, 1996), talk show di brevissima durata in cui vuole ancora una volta rendere comprensibile a tutti il linguaggio della politica e fare «le domande che i giornalisti non fanno». L'ultimo tira e molla sulle reti generaliste avviene con una particina all'interno di Verissimo e come conduttore, nel 2000, di A tu per tu assieme a Maria Teresa Ruta, in quella fascia di mezzogiorno che cerca invano di rivitalizzare dopo averla fatta diventare a suo tempo strategica nell'economia dei palinsesti generalisti.
Il resto è storia recente: la riconciliazione con Craxi, che va a trovare ad Hammamet con un gesto di grande generosità; l'impegno quotidiano serale su Odeon accanto alla compagna Morena e al giornalista Alberto Tagliati; l'ultimo infelice rientro sulla grande tivù generalista nel 2007 con Apocalypse Show; poi i problemi di salute, l'operazione al cuore, la rabbia da leone ferito per essere stato tagliato fuori dal grande giro quando si sentiva ancora in grado di calamitare attenzioni, polemiche, audience.

La morte lo ha colto vivo, e crediamo che gli piacerebbe essere ricordato così.

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