Cronache

Suicida l’ultimo playboy che sposò Brigitte Bardot

Gunther Sachs si è sparato un colpo di pistola come fece suo padre cinquant’anni fa. Fotografo di successo ha avuto una vita segnata dalle tragedie, dall’azzardo e dalla dolce vita. E da un amore che fece epoca. Finito per colpa di un italiano

Suicida l’ultimo playboy  
che sposò Brigitte Bardot

Gunther Sachs lo aveva scritto. L’età avanzata stimola il suicidio. Accade con maggiore frequenza a quelli del Cancro ma lo Scorpione sa farsi giustizia. Gunther Sachs era uno Scorpione del quattordici di novembre. Aveva settantotto anni e ha deciso che l’età, per l’appunto, lo stava stimolando a chiudere l’obiettivo della sua esistenza bellissima. Click, il rumore mille volte da lui udito quando scattava una fotografia, stavolta uno sparo è stata l’ultima luce prima del buio, l’ultimo rumore prima del silenzio.

Gunther Sachs ha raccolto quasi tutto dalla vita ma, insieme, il dolore forte per la scomparsa della dolcissima Anne Marie Faure, che gli aveva regalato Rolf, il primo erede. Anne Marie era la sua prima moglie, morì dopo tre soli anni di matrimonio, durante un intervento chirurgico successivo a un incidente stradale. Suo padre Will si uccise sparandosi alla testa in quello stesso anno. Venne, dopo un solo mese dalla nascita, la fine, improvvisa e feroce, di Christopher Gunther, il secondo figlio avuto dal matrimomio, era il terzo, con l’indossatrice svedese Mirja Larsson. Ancora la morte di suo fratello Ernst Wilheim, travolto da una slavina. Ma in mezzo a questo c’era stata Brigitte, la Bardot, la femmina fatale, il sogno di qualunque uomo di quell’epoca di dolce vita, di Saint Tropez, di partouzes, di droga e alcool al Byblos, dei misteri sensuali di villa Mandrague, la dimora di BB, dell’Epy Plage, il lido privato, esclusivo. Saint Tropez non esisteva, prima. Non sarebbe esistita, dopo. Se non nel diario di quel tempo. Gunther decise di prendersi Brigitte nel giorno giusto per i francesi, il quattordici di luglio, la sua rivoluzione sessuale non partiva dalla Bastiglia ma dal Nevada, nel sito di Las Vegas, bingo per un miliardario, erede dei Von Opel, da parte di madre, dunque nato nella culla di caviale e champagne, con fastidiose amicizie famigliari. Suo padre Will era finito in galera, dopo la guerra, per le frequentazioni, qualcosa di più direi, di Goring e Himmler.

Per un tedesco ricco e potente era quello il pedaggio minimo. Gli americani, dopo interrogatori e chiarimenti, lo liberarono dichiarandolo un collaboratore di giustizia, il cognome Sachs e quello della signora von Opel servivano alla causa patria. Gunther Sachs, dunque, ha voluto esistere come si doveva, una vita d’azzardo, gli amori di contrabbando, gli studi di scienza, lo sport, l’accento tedesco avvolto da due gocce di Chanel numero 5, il fisico potente, da bobbista alle Olimpiadi, il gusto per l’arte moderna (è stato direttore del museo di Monaco di Baviera), la curiosità per la matematica, con una laurea in bacheca, i capricci con le stelle, non soltanto Brigitte ma proprio gli astri del cielo, di notte a rimirare il tetto sopra Saint Tropez, Las Vegas, Gstaadt, lo stesso soffitto naturale e cento visioni, cento letture, come lui stesso ha scritto in quel libro diventato un best seller in Germania e in Francia e in Inghilterra, Dossier astrologia, uno studio scientifico, analizzato e approvato (!) dall’Università di Monaco, roba brutta per gli astronomi, opera divina per maghi, stregoni, dame e damazze di qualunque società.

I tre anni di matrimonio con Brigitte, dal Sessantasei fino al divorzio definito in tribunale il primo giorno di ottobre del Sessantanove, quel triennio, dunque, fu un arco di tempo di favole e di cialtronate, Gunther travestito da Dracula che scende da un elicottero a Saint Tropez, Gunther che spedisce diecimila, dico diecimila, rose a Brigitte per far annusare a quella serra colorata il profumo di donna, della DONNA. Venne Gigi Rizzi, «l’italien», a togliergli il posto al Byblos e tra le braccia della suddetta. Ma Sachs restò il fantasma e Dracula assieme, il play boy come si diceva e si scriveva allora, oggi il dizionario condominiale prevede «tronista». L’uomo che giocava a fare il ragazzo, il maschio bello, fascinoso, charmant, sciupafemmine, capace di qualunque cosa, in qualunque ora del giorno, preferibilmente di notte, l’alba serviva per fuggire lontano, lontano da Brigitte, da Marina Doria, da Juliette Greco, da Soraya, femmine inquiete e inquietanti come erano quelle passioni.

Gunther Sachs aveva scelto la nazionalità svizzera, il fisico si era incurvato, i capelli erano del colore della neve, gli occhi avevano smarrito la luce vivissima, soltanto la bocca offriva quella smorfia gagliarda e gaglioffa di sempre. Non indossava più pantaloni bianchi, non portava più camicie sbottonate, bianche anche quelle come i mocassini senza calze. Piuttosto sciarpe rosse su abiti scuri, il colore dei suoi anni pesanti. Suo padre Will aveva deciso di concludere la vita in anticipo, sparandosi un colpo di pistola, in un casino di caccia. Gunther deve aver guardato le stelle sopra Gstaadt, ha ripensato a Brigitte, a Saint Tropez, all’elicottero, alle rose. Fotografie amare dopo la vita dolce.

Per uno Scorpione era arrivato il tempo.

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