Cronaca locale

Sull’isola incantata della maga Alcina

Alla Scala non c'era mai stata se non in forma oratoriale, nel 1985. Così l'allestimento Parigi '99 ripreso in teatro a partire da martedì 10 sarà una prima volta. L'«Alcina» di Händel, parte di un trittico «ariostesco», vede la luce al Covent Garden di Londra nel 1735. Il libretto, anonimo, è adattato da quello per un opera di Riccardo Broschi, fratello del celebre castrato Farinelli. L'impianto originale sposa la grandeur del teatro barocco, con tanto di danze affidate a Marie Sallé. Mito del teatro settecentesco accanto alla Camargo. Entrambe immortalate da un epigramma di Voltaire. Tuttavia già lo stesso Händel provvede a rendere più essenziali le repliche. Quindi, per un secolo, su Alcina scende l'oblio. Se ne riparla a partire dalla pubblicazione del 1868. La prima moderna è datata Lipsia 1928. La prima «accreditata» Londra 1957.
Alcina è una maga che arriva da lontano inserendosi sulle figura archetipiche della classicità. Circe, Calipso, Medea... Nasce a Ferrara per mano del Boiardo e si sviluppa nell'Orlando di Ariosto. La fonte del libretto. A Londra si contrastano realtà teatrali rivali. Fatto che non impedisce all'autore di debuttare (i protagonisti sono un soprano e un castrato) con cantanti di primissimo ordine come il «Cusanino» e Anna Maria Strada del Po. Drammaturgia e vocalità procedono nel solco dell'opera seria italiana. I personaggi, differenziati per psiche e vocalità, sono coinvolti in ruoli di grande impegno. Alcina pretende un'estenzione molto generosa, Morgana gioca nelle zone acute, Ruggiero, il fatale amato, ha una parte antieroica che lo fa agire dimentico e in trance. Il regista canadese Robert Carsen fornisce la sua chiave di lettura. Alcina è la storia di un'illusione, un gioco di specchi di psicologie.
La sua regia punta sulle personalità dei singoli, evidenzia la malinconia dell'assenza, sottolinea il potere della donna sull'uomo e la bestialità dell'uomo perso nell'accoppiamento. Animalità che spiega le trasformazioni operate dalla maga ai danni dei suoi spasimanti. Ma poi succede che lei stessa si innamori. E che, persa in quella passione, smarrisca ogni potere. L'isola che è un inganno della mente e Ruggiero che è un inganno del cuore. Lei muore, lui se ne va, schiacciato dal senso di perdita. Il tutto (ma Carsen non lo dice) avviene in un ampio ambiente neoclassico che, mosso illusoriamente, mostra la natura tanto invocata e i fantastici accadimenti. Il direttore è Giovanni Antonini, firma eccellente, amabile e acuta del repertorio barocco. Fondatore del Giardino Armonico. Un artista aperto al nuovo frequentato, anche allontanandosi dal suo alveo di nicchia, con Mozart, o Beethoven.
Antonini lavora anche con i Berliner. L'organico strumentale, molto ridotto, è rialzato quasi a livello scena. Gli interpreti sono tutti scaligeri ad eccezione di un'arpa barocca. Ai suoi il direttore, uno che non si impunta, è contrario allo star system e non smette di sottolineare l'importanza della musica come fatto culturale indispensabile alla crescita di persone e popoli, chiede soprattutto la massima comprensione di testo e autore. Insiste su accenti e ritmo. Concede, a chi le sa usare, improvvisazione della prassi esecutiva barocca e coloriture delle lunghe arie. Alcina e i suoi incantamenti si avvalgono di scene e costumi (moderni ma atemporali) di Tobias Hoheisel.

Alcina è Anja Harteros, Ruggiero Monica Bacelli, Morgana Patricia Petibon, Bradamente Kristina Hammarström.

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