Cultura e Spettacoli

"Superato, deve adeguarsi alle nuove tecnologie digitali"

Intervista a Jeremy Rifkin: l’economista prevede un futuro in cui la competizione verrà sostituita dalla condivisione. Grazie a internet

"Superato, deve adeguarsi  alle nuove tecnologie digitali"

Il destino di Jeremy Rifkin è andare a caccia del futuro. Non è un mago. Non è un profeta. Non ha nulla a che fare con Nostradamus, ma tutti quelli che non lo amano prima o poi lo hanno battezzato come un messaggero dell’apocalisse. È una definizione che a lui non è mai piaciuta. Neppure quando ha raccontato la fine del lavoro o segnato i malesseri della società globale. Neppure adesso che sta qui a Roma con il suo ultimo saggio La civiltà dell’empatia (Mondadori, pagg. 634, euro 22). Qualcuno pensa che Rifkin sappia illuminare le paure di questo secolo. Le mette sul mercato. Ci gioca. Le vende. Questa volta è in ballo il futuro dell’umanità. Cosa accade se la natura si ribella? E se l’uomo mangia tutta l’energia di Madre Terra? Stiamo davvero ballando su un equilibrio instabile? Da qui parte Rifkin e poi torna indietro, in un viaggio a ritroso.

Ma lei è ottimista o pessimista?
«Né l’uno né l’altro. Io cerco di essere realista e ragiono su ciò che accade».

Scrive che la storia è di nuovo davanti a un bivio. Si cambia. È la fine del capitalismo?
«È un’evoluzione. Ma quando c’è una rivoluzione tecnologica cambiano anche i paradigmi culturali. Le civiltà basate sulla caccia e la pastorizia vivono di racconti orali e di mitologia. Poi si cambia».

Come?
«È la rivoluzione idrica. Lo sviluppo dell’agricoltura. Le società contadine della Mesopotamia, dell’India e della Cina inventano la scrittura cuneiforme. Il mito lascia il posto alla teologia».

Terza tappa.
«Le macchine a vapore. È la rivoluzione industriale. L’uomo sviluppa il pensiero ideologico. Dio lascia la terra e gli uomini si riconoscono nelle nazioni. La seconda industrializzazione viene generata dall’energia. È l’era del petrolio e dell’elettricità. Era il passato».

Il presente è l’Homo empaticus.
«È la civiltà della rete. Non esistono più destra o sinistra, ma la differenza politica ruota tutta intorno al concetto di connessione. Il passato è chiudere gli ingressi. Il futuro è aprirli. Il passato è verticale, il futuro è orizzontale. L’empatia realizza la vera natura dell’uomo, che non è quella che vede nel mondo terreno il peccato e neppure quella razionalista dell’interesse individuale e della concorrenza. È la filosofia del file sharing, quella di Linux, di eMule, di Wikipedia. L’attività economica non è più un duello fra venditori e compratori agguerriti ma, piuttosto, un’impresa collaborativa fra attori che la pensano allo stesso modo. Il benessere degli altri amplifica il proprio benessere. I giochi a somma zero lasciano il posto a scenari di reciproco vantaggio».

Tutto questo ha una conseguenza. Non ha più senso parlare di proprietà privata o proprietà intellettuale. Addio brevetti. Addio diritti d’autore.
«Il diritto fondamentale diventa l’accesso alla blogosfera. Connesso o non connesso. Siamo così abituati a pensare alla proprietà come al diritto di escludere gli altri dall’uso o dal beneficio di qualcosa che abbiamo dimenticato un’altro punto di vista».

Quale?
«La vecchia definizione di proprietà. Il diritto a non essere esclusi dal godimento di qualcosa. Il diritto di navigare le vie d’acqua, di percorrere le strade e i sentieri, di accedere alla pubblica piazza».

La proprietà privata è un furto?
«Ha sbagliato secolo. La proprietà privata è solo un po’ più inutile. Quello di cui parlo è un capitalismo condiviso».

Alla fine è ottimista. L’uomo è buono e altruista...
«L’empatia purtroppo ha un’altra faccia: l’entropia. Questa civiltà ha mescolato popoli diversi e ha fatto espandere la coscienza umana, ma a costo di un sempre maggiore consumo di energia, con un enorme impiego di risorse naturali. La terra rischia parecchio».

La speranza?
«Il sole. Il vento.

Le energie rinnovabili».

Commenti