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Supermercati, così iniziò l’era della grande spesa

E adesso che cosa faccio di pomeriggio? Si chiedeva smarrito il signor Italo all'angolo di via Valdagno quando seppe che l'Esselunga di via Forze Armate avrebbe chiuso un anno intero per ristrutturazione. Il giretto tra le corsie del supermercato, più o meno sempre lo stesso giro - due mele al banco frutta, mezzo litro di latte accadì al banco frigo, un cartoccio di Tavernello negli scaffali in fondo - più o meno sempre lo stesso sacchetto sbiadito, ripiegato da bravo nella tasca di dietro dei pantaloni, in mano la nota della Lina, scritta a matita (per cancellare e riutilizzare il biglietto?) su un foglio a quadretti, spezzava in due la sua giornata di pensionato. E adesso?
La chiusura del supermarket ti cambia la vita. Anche l'apertura. Qualche decennio prima l'Italo, operaio con prole, come quasi tutti i residenti del quartiere proletario a sud-ovest di Milano, aveva detto a consorte e figlioli: sapete che facciamo sabato pomeriggio? La prospettiva di andare tutti assieme nell'enorme magazzino con le porte automatiche, i fiori, la musica, l'aria condizionata, i cestelli con le ruote e il predellino «dove mamma può mettere il piccolo che porta con sé», le signorine carine alle casse e i registratori «veloci come il lampo», era più che favolosa per la vigilia della festa. Il bello era che si poteva girare indisturbati, toccare tutto, scegliere «fra 1.600 articoli inscatolati o avvolti nel cellophane. Mozzarelle napoletane, pinne di pescecane, nidi di rondine, zuppa di canguro. Il ben di Dio di ogni paese», favoleggiavano i giornali dell'epoca.
«Rockefeller offre pinne di pescecane», titolava sensazionale Il Giorno del 27 novembre 1957 annunciando l'inaugurazione del primo supermercato Esselunga in viale Regina Giovanna a Milano. Dava voce e eco di stampa alla sensazione che qualcosa di inaudito - più che una notizia, un'irreversibile novità - stava per accadere. Il miliardario americano veniva a offrire nostrano ben di Dio. Il leggendario paese di Bengodi scendeva giù per lo Stivale per realizzare la leggenda dell'american way of life. Onesti stipendiati e modesti pensionati afferravano squali transatlantici per la coda e ne addentavano le pinne. Si poteva credere che davvero La spesa è uguale per tutti (Marsilio, 110 pp. 12 euro). Niente sensazionalismo nei titoli del Giorno, però, e niente egualitarismo nel titolo del libro della storica Emanuela Scarpellini, uscito in tempo per celebrare il mezzo secolo di L'avventura dei supermercati in Italia. «It's hard to be a communist with a full belly», dichiarava mr. Rockefeller avviando da pioniere l'avventurosa impresa italiana. «È difficile essere comunisti con la pancia piena», riporta la studiosa in traduzione.
Inequivocabile il modello, l'impronta, l'imprinting che si voleva dare a una società cresciuta, tra il 1950 e il 1970, «a una velocità doppia rispetto alla media europea». Catapultata dai centri rurali ai centri urbani. Fiondata dai ritmi contadini ai ritmi cittadini. Lanciata dall'autoconsumo agricolo di chi coltivava l'orticello all'Altroconsumo dei self-service commerciali.
Per chi vi scrive (e, figlia di commercianti, non finirà d'esser fiera delle proprie origini mercantili) l'Esselunga era, per tradizione il concorrente, il rivale, il nemico. Ovvio che la corsa ai prezzi competitivi era persa in partenza. Ma col concorso di un babbo vispo e vigile dietro il banco di un bar-latteria-gelateria, c'era gusto a partecipare. E a guadagnare la rivincita inseguendo le manovre dei cosiddetti clienti affezionati. Quelli che compravano la mozzarella di là e la riportavano scaduta di qua per averne in cambio una buona. Compravano il gelato all'ingrosso e venivano a chiedere gentilmente coni vuoti coppette e cucchiaini. Ritagliavano i punti della pasta e dei biscotti dietro le quinte delle corsie e venivano a riscuotere i premi evitando trafile, scartoffie, noie burocratiche e spese postali. Scenette osservate da un palco privato riservato sotto l'insegna del glorioso Caffè Picchio (che ahimè da un anno non esiste più). Ma replicate quotidianamente per tutti. Tenerezze, intimità di casa nostra. Inteneriscono i dettagli tutti italiani colti anche dall'impeccabile Scarpellini. Tipici come i prodotti lanciati nelle prime promozioni: «Gnocchi, tortellini, cappelletti»: appetibili e appetiti più che i famelici squali arrivati in conserva d'oltreoceano dai vitelloni d'antan diffidenti perfino dei surgelati. Così, accanto ai primi supermarket all'americana non c'erano i parcheggi, perché «le donne in Italia non guidano». I carrelli scarseggiavano in favori dei cestelli, «più adatti alle spese modeste». Ma, scoperte le ruote, l'Esselunga le avvitò sotto il rimorchio dei Tigrotti, i camion per il trasporto delle scorte (un tempo ne bastava uno solo per negozio). E le mise in palio a quattro alla volta con le Fiat 600 dei cui vincitori il Corriere della Sera, ignaro di privacy, pubblicava nome, cognome, titolo di studio e indirizzo. Noti risaputi e applauditi erano anche i nomi estratti a sorte per il buono spesa di 5000 lire favoloso, al tempo in cui si sognavano le 1000 lire al mese come il Milione del signor Bonaventura.

L'eroe della buona avventura al supermercato poteva essere chiunque: le opportunità, come la spesa, erano «uguali per tutti».

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